Addio anche ad Ambrogio Vaghi, a lungo firma prestigiosa di RMFonline, maestro di politica, benemerito della varesinità, amico carissimo. Lascia eredità d’affetti e di opere: una donazione imperitura, concreta, esemplare.
Lo salutiamo con affetto, ma non se ne andrà dal nostro cuore. Dal mio cuore. Passo alla prima persona per spiegare la ragione dell’articolo che segue: è la prefazione, da lui voluta, al libro di memorie personali che scrisse l’anno scorso intitolandolo “Un cardinale rosso a Varese- Settant’anni di storia, guerra, politica e cooperazione”. Mi pare che renda l’idea, solo un accenno d’idea e però rivelatore, di questa straordinaria personalità.
Dò un mio titolo personale, “Via Marcobi”, al racconto di vita che ci propone Ambrogio Vaghi. L’ho conosciuto bene lì, nel centro di Varese, dove ha sede la Socrem, società di cremazione di cui -sorridete pure- è stato e continua a essere l’anima. Parlo d’una decina d’anni fa. C’eravamo incontrati qualche volta in precedenza, ma s’era trattato d’accidenti. Motivi di lavoro cronistico, occasioni di chiacchiera volante. Poi, complice l’amico d’entrambi Roberto Gervasini detto Gervàs, la nostra frequentazione s’infittì e consolidò.
M’iscrissi, oltre che alla Socrem, al PPA, il Partito Personale d’Ambrogio. Roba trasversale, né di sinistra né di destra, né ideologica, né politica. Qualcosa d’esistenziale. Direi quasi filosofico-popolare: profondo e semplice. L’Ambroeus, come spesso lo chiamano gli affiliati al sodalizio, mi colpiva per l’acutezza dell’analisi, di qualunque tema argomentasse. Poche parole e ben dette. Di solito con la chiusa “L’è inscì”. Cioè: basta girarci attorno, consideriamo risolta la questione.
Ne ha esaurite tante, davanti ai miei occhi. Politiche, economiche, culturali. Viste molte file d’attesa, in presenza. Idem a distanza, di squillo in squillo telefonico.
Leader naturale dei comunisti e post comunisti locali, era ovvio che lo si tenesse in conto di Papa Rosso. Un po’ meno ovvio che lo cimentassero anche gli estranei al suo laico e speciale Vaticano. Negli anni Sessanta e Settanta fu il sindaco-ombra della città, richiesto di pareri cruciali dai primi cittadini in carica, Oldrini e Ossola. La contrapposizione di partito non limitava il consultarsi saggio, pratico, utile al progresso civico. Una tradizione andata avanti nel tempo, fino ai giorni nostri, con interlocutori vari. Divenuto un venerato capo indiano, “il Vaghi” -per usare la terza persona di cui egli fa talvolta uso, citando sé stesso- ha continuato a dispensare consigli a chiunque glieli sollecitasse. E a impartire disposizioni a tutti i “compagni” che religiosamente lo pregavano d’impartirgliele.
In via Marcobi è esistita per anni un’università della vita. Senza che alcuno, e tantomeno il padrone di casa, s’impancasse a tener lezioni da sussiegoso “caminetto”. Molte materie d’occasione, tanti giudizi affatto casuali. E un sacco di nozioni, diagnosi, pronostici di cui far tesoro. Un bendidio che m’impone generosa gratitudine verso l’Ambroeus. Del quale sono il meno indicato a elencare le medaglie conquistate ovunque: nelle file del Pci, nei ranghi del Consiglio comunale, nell’amministrazione d’una folla di enti e società, nelle pagine del giornalismo, e senz’altro in un altrove che dimentico. Non per retorico omaggio fu insignito nel 2016 del titolo di Benemerito di Varese, pergamena consegnatagli con fierezza dal neo-sindaco Galimberti. Un’assegnazione che spiega tutto, a cominciare dalla prodigalità del nostro AV (iniziali curiosamente leggibili all’inverso come VA) di cui è consapevole in particolare la Casa di riposo Molina.
Amici epocali sanno di lui ben più di me. E nel libro trovate una serie di rivelatrici testimonianze della grandezza del personaggio. Perché sì, abbiamo il dovere, mica il coraggio, di usare le parole grandezza e personaggio. I ragazzi, vecchi bravi “fioeu”, della “Via Marcobi” sanno che adoperandole non si bara.
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