Sembrava che la pandemia fosse servita almeno ad accomunare tutti in uno sforzo collettivo per sconfiggere il virus e sentirci più uniti. L’aggressione russa all’Ucraina ha fatto scaturire successivamente un’ondata di solidarietà che ci sembrava foriera di coesione fra gli Stati. L’ultimo Consiglio Europeo ha affrontato la sfida del nuovo ampliamento, ma non ha definito la rotta. La decisione di concedere lo status di Paese candidato all’Ucraina e alla Repubblica di Moldavia è stata saggia e comunque dovuta, ma sembra sia stato sembrato consapevole della contraddizione insita nel prendere decisioni apparentemente inconciliabili: l’ampliamento a Paesi ancora lontani dai parametri richiesti dai Trattati e il rafforzamento dell’unità attorno ai valori fondanti l’integrazione europea.
Nel tentativo di trovare un punto di equilibrio tra queste due scelte, il Consiglio Europeo avrebbe potuto accogliere la proposta presentata da Macron di creare una Comunità Politica Europea. Già parlammo di questa opportunità su queste colonne prima del Consiglio Europeo. I Paesi desiderosi di partecipare a questa cooperazione rafforzata dovrebbero essere retti da regole specifiche (come nel caso dei Paesi aderenti all’Euro) in politica estera, di sicurezza e di fiscalità: in tale modo, questi Paesi raggirerebbero l’unanimità prevista dai presenti Trattati.
L’associazione di Stati “associati” all’Unione, al contrario, dovrebbe attendere di maturare le condizioni per un’adesione piena. In tal modo si eviterebbe il veto già anticipato dai tredici Paesi, contrari alla riforma dei Trattati. La soluzione proposta appare abile, ma rimane solo di facciata se non verrà accompagnata da politiche volte ad approfondire l’integrazione fra gli attuali Stati membri e a rafforzare l’efficacia dell’azione dell’Unione. Già ora sono sorte perplessità, se non divisioni, tra Paesi nordici, Paesi Bassi, Germania e la solita Ungheria sul prezzo del gas e del petrolio armonizzato a livello europeo, così come è stato proposto da Draghi. Tutto rinviato al prossimo Consiglio.
Come altri europeisti convinti, attendevo che il Consiglio convocasse una conferenza intergovernativa per la riforma dei Trattati, soprattutto per annullare l’unanimità nelle politiche più rilevanti al fine di dare una voce coesa, unitaria, credibile al mondo. L’avevano dichiarato recentemente i leader di alcuni Paesi. Pensavo che in materia di politica estera, di difesa, due materie importantissime per rafforzare la struttura federale dell’Unione e condizione indispensabile per la sua funzionalità, si potesse arrivare se non all’abolizione del veto, almeno alla possibilità di decidere a maggioranza qualificata, ma mi pare che neanche nell’attuale e storica contingenza alcuni Paesi siano favorevoli a questa riforma estremamente necessaria per creare un’Europa federale.
Nella relazione conclusiva del Consiglio Europeo si dice: “Il Consiglio Europeo prende atto delle proposte contenute nella relazione presentata dai tre co-presidenti sulla conferenza sul futuro dell’Europa”. Nulla di più. Verrebbe voglia di esclamare con Orazio: “Parturient montes, nascetur ridiculus mus”: sì, dopo tanto strombazzamento durato un anno intero, dopo tanto clamore suscitato da riunioni, interviste, inchieste e richieste da parte di tutti i cittadini dell’Unione tutte registrate su una piattaforma online che doveva “dar voce ai cittadini dell’UE” (in realtà sappiamo che sono state registrate non più di mille proposte!), dopo molte risorse dilapidate, il Consiglio Europeo si è limitato a prendere atto delle proposte contenute nella relazione finale senza far cenno alla richiesta di molti europei di portare l’Unione a più elevati livelli d’integrazione e verso un orizzonte federale, incominciando dalla riforma dei Trattati.
Pur non ignorando che l’Europa in questo anno è stata soggetta alle sfide della pandemia e dell’aggressione russa all’Ucraina, il Consiglio, cioè i vari Stati, non doveva archiviare in due righe le scelte coraggiose del Parlamento, della Commissione e dei cittadini. Se la montagna avesse partorito un topolino, potrebbe essere la sconfitta definitiva del progetto europeo.
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