(O) Ti ho visto colpito dalla tragedia della Marmolada…
(C) In quella zono sono passato tre volte, due dalla vetta, la terza dopo avervi rinunciato a causa di un temporale imminente. Il paradosso è che il pericolo usuale della Marmolada, in particolare per chi sale dalla ferrata degli Austriaci e scende poi al Pian dei Fiacconi è il cattivo tempo, il temporale, i fulmini; non il sole e il caldo.
(S) Il coro degli esperti incrimina il cambiamento climatico.
(C) La riduzione del ghiacciaio, come in tutto il mondo, è innegabile, evidente e accelerata. Mi basta confrontare la situazione odierna con il ricordo della mia ultima salita risalente al 1974. Stessa stagione, fine giugno, ma ambiente totalmente diverso: una spessa coltre di neve dalla cima fino al Pian dei Fiacconi. La discesa fu pure accompagnata da nevischio dalla cima al rifugio.
(S) Sì, ma… forse proprio le nuove condizioni climatiche dovevano suggerire prudenza. Mi è parso di capire che a quell’ora alcune cordate fossero ancora in fase di salita.
(C) Anche esperti alpinisti hanno sottolineato l’imprevedibilità dell’evento, soprattutto nella sua dimensione: che il ghiacciaio scarichi è normale, ma non in queste proporzioni. Era una via considerata sicura, persino banale. Che tra le vittime ci siano due guide alpine, può stupire, ma dà il segno dell’eccezionalità. Quel seracco era lì da sempre e probabilmente ha scaricato spesso, anche e soprattutto negli anni nevosi, una parte della sua massa, poco per volta. Era difficile pensare che si staccasse in un colpo una massa enorme e che potesse raggiungere le tranquille tracce di sentiero mille metri più in basso.
(S) Che almeno serva a qualcosa lo shock mediatico. Non sono d’accordo con chi dice (sui social media) “se la sono cercata”, ma ormai dovrebbe essere noto a tutti che occorre maggiore prudenza. Leggo dal blog del grande scalatore Gogna: “Se prima certi luoghi erano pericolosi oggi lo sono molto di più. In questi primi decenni del secolo XXI, certe linee sono percorribili solo in stagioni che non siano quella estiva”.
(C) Sì, benvenuto lo shock, ma a certe condizioni. La prima, che non ci venga tolta la libertà di andare in montagna, sotto la nostra responsabilità, però preparati e informati. Giusto un anno fa è successa sul Monte Rosa una disgrazia simile in circostanze affatto contrarie. Sottovalutando l’imminente arrivo di una perturbazione, una cordata si è spinta di pomeriggio verso una cima di quattromila metri, perdendo la strada del ritorno nella bufera a poche decine di minuti di distanza dal rifugio. Quindi non diamo colpe alla montagna, al destino a Dio, in caso d’incidente
La seconda, un po’ più di sorveglianza e d’informazione da parte degli organismi pubblici sulle condizioni oggettive delle montagne, proprio come già si fa per il pericolo valanghe in inverno.
La terza (qui so che sfido reazioni contrarie) che si capisca che le conseguenze del cambiamento climatico vanno contrastate come tali, fin da subito, mitigando i possibili danni immediati, invece di concentrare sforzi e risorse solamente sul contenimento dell’anidride carbonica, che non è l’unico né il peggiore dei gas-serra. Solo un esempio: se guardassimo all’intero ciclo di vita dei motori per automobili, dalla costruzione all’eliminazione dei rifiuti finali, dovremmo prendere atto che non sono quelli a combustione interna i più inquinanti.
(O) Ci sarà anche del vero in quello che dici, ma proprio non mi sento di lasciarti l’ultima parola: quello che conta oggi è incrementare la ricerca nei settori finora trascurati, fonti rinnovabili e biologiche, accumulatori elettrici, idrogeno.
(C) La ricerca, certo, soprattutto la ricerca, ma specialmente sulle cause naturali del cambiamento, non rassegnandoci allo sterile pessimismo che incolpa di ogni male proprio esclusivamente l’attività umana.
(O) Onirio Desti (C) Costante (S) Sebastiano Conformi
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