Il responsabile della Conferenza dei vescovi per le migrazioni, Giancarlo Perego, ha tagliato corto sullo ius scholae. “È una conquista, il Paese cambia, basta ideologie”. Risposta secca alle obiezioni in Parlamento, Lega e Fratelli d’Italia, contro una misura di civiltà, di cui si discute da anni e per la quale -secondo alcune forze politiche- non viene mai il momento adatto a prenderla.
Anche di recente Salvini s’è intestato questa battaglia del no, addirittura minacciando di farne motivo d’una crisi di governo. E la Chiesa gli ha replicato a muso duro, chissà se casualmente in coincidenza con la nomina del prelato bergogliano Matteo Zuppi a presidente della Cei.
Raramente vien presa nella Roma clericale una posizione così netta su temi riguardanti la legislazione italiana. È successo a proposito di divorzio, aborto, fecondazione artificiale, eutanasia. Se capita adesso, sulla questione della cittadinanza ai figli di stranieri nati e cresciuti in Italia, vuol dire che Oltretevere non si transige. Un parere che pesa: Montecitorio e Palazzo Madama lo ascolteranno.
L’argomentare dei porporati si presta a zero controdeduzioni. Qualche dato rende l’idea. Se ne discute dal 2011, e fu una campagna mossa da diciannove associazioni cattoliche e laiche a sensibilizzare sull’urgenza del provvedimento. Ancora: un milione e quattrocentomila ragazzi, di cui novecentomila studenti, aspettano di poter diventare italiani pur essendolo già. Inoltre: la nazione conta cinque milioni e mezzo di migranti, due milioni di famiglie. Li si vuol considerare parte integrante del Paese o è preferibile rimandare la soluzione del problema?
Dice Perego: “Bisogna acquisire la capacità e le competenze per leggere questa situazione nella sua moltitudine di aspetti, e usare lo strumento della cittadinanza per rendere partecipi e protagonisti di una necessaria e non più rinviabile trasformazione le persone in attesa di essere riconosciute cittadini. Tra l’altro i sondaggi dicono che la scelta riscuote il favore di settanta italiani su cento”.
Proteggere, promuovere, includere. Il percorso è chiaro. Oscuri i motivi d’avversione, ridicolo quello che asserisce: bisogna meritarsi il titolo di cittadino italiano. Se lo merita ogni giorno chi è nato qui, ha studiato qui, lavora qui, paga le tasse qui. Il resto sono slogan propagandistici, chiacchiere inutili, argomenti vuoti di contenuto. Sin dal convegno di Verona del 2006 la Chiesa sostenne il diritto alla cittadinanza, tema approfondito nel 2010 dal documento “Educare alla vita buona del Vangelo”, ripreso alle Settimane sociali di Reggio Calabria sempre nel 2010 e di Torino nel 2015, e presente nell’enciclica “Fratelli tutti” di Francesco. Come ha scritto Benedetto XVI: la cittadinanza non è un semplice atto giuridico, ma un atto di cultura. Approvato nel 2015 dalla Camera, bocciato al Senato nel 2017, lo ius scholae appare ormai indifferibile. Se ne faranno una ragione Salvini e Meloni. Pena un miserando scholare a picco.
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