Non me ne vorranno i miei lettori se, prima di accingermi a fare alcune riflessioni sul Consiglio Europeo che si è svolto la settimana scorsa, illustrerò le funzioni di questa istituzione di cui molti parlano, talvolta a sproposito.
Il Consiglio Europeo è formato dai capi di Stato (la sola Francia!) e di governo dei Paesi membri dell’Unione. Non va confuso con il Consiglio europeo dei Ministri, formato dai ministri competenti in specifiche amministrazioni dei Paesi e responsabili di un dicastero (interni, esteri, bilancio, salute…). Questi si riuniscono per confrontarsi, discutere, armonizzare e presentare proposte inerenti a politiche settoriali. Né tanto meno può essere paragonato al Consiglio d’Europa, che non è un organismo dell’UE e che si occupa prevalentemente di rispetto dei diritti umani. Il Presidente del Consiglio Europeo cambia ogni sei mesi: attualmente è Emmanuel Macron che il 1° luglio passerà il testimone al capo di governo della Repubblica Ceca Fiala.
Questa premessa aiuta a comprendere come le responsabilità più elevate delle incertezze di funzionamento e di decisionalità del Consiglio dipendano in buona parte dalla situazione politica di ciascun Stato membro, incertezze che, spesso, il capo di governo del Paese che ha la presidenza non può sciogliere. Fino all’incontro di Kiev ci si augurava che il “trio” Draghi, Macron, Scholtz avesse ciascuno una stabilità del proprio governo e godesse perciò di un leggero vantaggio nelle decisioni da prendere.
Le elezioni politiche in Francia non hanno favorito Macron che si trova in difficoltà perché il suo governo non gode più di una maggioranza assoluta. Il nostro Paese, poi, a causa delle grette dispute all’interno del M5S, si è presentato in quei giorni al Consiglio con un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare “spezzatino”, non certo coesa. Ci sottrae alla sottostima degli altri Paesi membri l’impareggiabile autorevolezza del nostro Presidente del Consiglio. Del “trio” il solo Paese “forte” politicamente resta la Germania.
La prima giornata del Consiglio è stata definita “storica” perché il Consiglio Europeo ha accettato la domanda d’adesione dell’Ucraina all’UE. In precedenza, anche il Parlamento Europeo aveva esultato per la presentazione della stessa domanda, che aveva suscitato nell’opinione pubblica un’ondata di entusiasmo e un’espansione di affetto verso l’eroico popolo ucraino. Tutti ci rallegriamo per questa scelta, che offre all’Ucraina di rigenerare la sua identità, riaffermare la sua sovranità in un quadro di cooperazione non solo economica, ma spirituale e culturale. A guerra ancora in atto, è difficile spezzare la catena dei torti e delle ragioni, ma quando la pace sarà raggiunta, quando l’egemonia di uno sull’altro arriverà al termine, allora ci accorgeremo che con l’ingresso dell’Ucraina nell’UE non solo si supererà l’isolamento di questa terra ricca e varia, ma riemergerà nella coscienza europea il valore della democrazia.
Quando succederà? Non lo sappiamo, siamo solo consapevoli che ci vorrà del tempo. A bussare alla porta dell’Europa ci sono da anni la Turchia (dal 1995), la Moldavia, l’Albania, la Macedonia del Nord, il Montenegro e, nella sala d’attesa di seconda classe, la Bosnia Erzegovina e il Kosovo. Per poter aver accesso all’UE, questi Paesi dovranno accettare le istituzioni liberaldemocratiche basate sul rispetto dei diritti umani e sulla protezione delle minoranze, accettare le leggi di un’economia di libero mercato e assumersi gli obblighi derivanti da una comunità politica, economica e monetaria
Non basta: per cancellare odi etnici, nazionalismi, pretese regionali, vero incubo dell’Europa, occorrerà che ogni paese – come ricordava Husserl – “alluda all’unità di una vita, di un’azione, di un lavoro spirituale”, “che abbia un’anima” – come ammoniva Monnet – “uno spirito europeo” – come proclamava Schuman perché se non si acquisisce questa idea d’Europa, essa intera morirà anche se avrà difeso le sue lingue, le sue tradizioni locali, le sue autonomie.
La vera sfida è quella di essere veramente concordi fra le grandi culture latina e germanica (“l’Europa carolingia”), quella anglosassone, che si è successivamente aggiunta, e quelle slava e russa che stanno per irrompere nello scenario europeo. Per essere veramente indipendente dal resto dell’Occidente, l’Europa dovrà pensare di meno a essere una convenienza e una necessità e di più alla ricomprensione della sua memoria storica, all’accrescimento della coscienza di essere comunità accogliente delle diversità, riconoscersi nella convivialità e riconciliazione.
Accettare l’adesione dell’Ucraina non è solo un atto dovuto, ma è un’opportunità per risvegliare l’Europa dalla sua stanchezza.
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