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I risultati delle comunali, primo e secondo turno, hanno riaperto la discussione sulle elezioni in Lombardia nella prossima primavera riaccendendo la speranza di un cambiamento politico e di classe dirigente.
Il centrodestra governa ininterrottamente questa grande regione dal 1995 con l’elezione di Roberto Formigoni. Nel 2013, dopo le sue dimissioni, abbiamo avuto Roberto Maroni fino al 2018 e Attilio Fontana dal 2018 ad oggi. Il cambiamento da Forza Italia alla Lega non si è sentito molto. Ci sono voci di un possibile passaggio di candidatura da Fontana a Letizia Moratti ma non è di ciò che voglio parlare.
Questa la domanda: la Lombardia è realmente contendibile dal centrosinistra come afferma Enrico Letta? Se vediamo il colore dei sindaci degli undici capoluoghi lombardi direi di sì. Sono quasi tutti “progressisti”, salvo Pavia e Sondrio (centrodestra) e Como (civico). Milano in passato era stata lungamente amministrata dal centrodestra: Marco Formentini, Gabriele Albertini e Letizia Moratti fino al 2011. Da allora in poi Giuliano Pisapia e Beppe Sala del centrosinistra. Varese, per stare alla mia provincia, era dominata dalla Lega fino al 2016. Oggi abbiamo Davide Galimberti del Pd.
C’è dunque uno straordinario potenziale “progressista” sull’asse economico e imprenditoriale più avanzato, moderno e innovatore d’Italia. Ci sono però dei limiti politici che mi pare doveroso indicare e sottolineare.
Riguardo al personale politico: conosco molto bene qualche consigliere regionale che tanto stimo eppure devo riconoscere che c’è un deficit di gruppo dirigente regionale. I messaggi critici e di contenuto arrivano deboli ai cittadini (perfino durante le pesanti e penose traversie sanitarie) e non si dia la colpa solo alla Rai e alle altre reti televisive.
Riguardo ai livelli amministrativi: attenzione a stabilire, dentro la Lombardia, una classifica di merito e di valore fra città e periferie dove il centrosinistra fatica molto. Anche lontano dai centri urbani ci sono le start up di vario genere, nella difesa dell’ambiente e del verde, nelle produzioni agricole, nelle attività turistiche.
Riguardo alle tradizioni: quelle extra cittadine hanno pure una loro validità e vitalità. I corpi intermedi con cui ricollegarsi non sono solo quelli tipicamente sindacali o dei movimenti cattolici d’avanguardia. Ci sono presenze popolari tramandate che sono fortemente radicate e che diventano influenze amministrative e poi voti sonanti.
C’è un modo certo per non cambiare nulla in Lombardia: quello di guardare con un certo senso di sufficienza e superiorità a questi territori, una volta detti “bianchi”. Non confondiamo mai la cultura, cioè l’interpretazione della realtà, con l’istruzione. Ce n’è potrebbe essere di più in una persona che vive nelle valli che in un docente universitario.
A me piacerebbe un candidato presidente di centrosinistra che magari sbagliasse la sintassi della lingua ma non quella della politica popolare concretamente vicina alle povertà di diverso tipo dilaganti anche da noi. Se no: “progressisti” di che?
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