I recenti avvenimenti sociali e politici dell’ultimo decennio, culminati nella crisi pandemica, cambiano decisamente le modalità di sviluppo economico del nostro territorio, accentuano una crisi delle tradizionali funzioni di Varese nel contesto dell’economia lombarda e impongono una riflessione sugli interventi necessari. Anche la realtà di Milano, come locomotiva dello sviluppo deve integrarsi maggiormente con le “medie città” lombarde. Varese può entrare positivamente in questa dinamica o ne verrà emarginata? Diventerà un quartiere-dormitorio di Milano, come già molti comuni della cintura milanese allargata (Saronno?) o coglierà l’occasione per diventare una “media città”? Si badi che non contano tanto le dimensioni del comune amministrativo, ma la capacità di produrre attrattività, sia residenziale sia economica. La condizione perché questa possibilità si realizzi è che l’intera realtà sociale e politica (sottolineo: non solo politica) afferri l’occasione di affrontare coraggiosamente i limiti fisici e anche psicologici della città, derivanti dalla sua modesta radice storica e, al contrario, dalla rapida espansione, susseguita all’industrializzazione.
Ci si deve chiedere se la tradizionale diade città/campagna sia adeguata per rappresentare il territorio di Varese e dei comuni circostanti. Nel 1500 inoltrato tutte le strade portavano al borgo e ancora nel 1700 inoltrato Francesco d’ Este costruì la sua villa di delizia, oggi il centralissimo Palazzo Estense, ‘fuori porta’.
Non stupisce che la situazione sia rimasta immutata fino all’epoca della industrializzazione, quando il tessuto intermedio tra il borgo e le castellanze, un tempo occupato da campi, monasteri e ville signorili, fu colmato anche da opifici, magazzini e nuovi quartieri residenziali. L’arrivo delle ferrovie e poi dell’autostrada favorì lo sviluppo della dimensione propriamente cittadina, ma inavvertitamente creò ulteriori barriere tra i quartieri, consolidando la forma “stellare” della città e dei servizi di mobilità, con il risultato di attribuire al “centro” l’impropria funzione (e oserei dire “finzione”) di luogo di transito obbligato, reso sempre più ingovernabile dalla rivoluzione automobilistica. Così Varese, che nacque come “città senza mura” si trova oggi a subire lo svantaggio di essere racchiusa e condizionata urbanisticamente proprio da quelle infrastrutture che furono le leve del suo sviluppo. Un secondo fenomeno di cui tenere conto è la deindustrializzazione del territorio comunale, le cui principali aree industriali sono ormai sostituite dalla grande distribuzione. Fortunatamente la maggior parte dei centri produttivi non si sono allontanati di molto, attestandosi nei comuni circostanti, però spesso carenti di adeguate infrastrutture di mobilità.
Come risolvere il problema? Con un progetto realmente coordinato tra le realtà politiche, quelle sociali ed economiche e gli attori infrastrutturali e trasportistici, che abbia come obiettivo quello di ridare al centro le sue prerogative di “Città Giardino”, ai rioni e ai comuni vicini servizi adeguati per non essere confinati a “periferie esistenziali”, al mondo economico e produttivo quelle aree industriali e quelle facilitazioni logistiche di cui necessita, a tutti collegamenti agili, ovviamente con Milano e Malpensa, ma pure con Como, Lugano e con il Piemonte. Nuove soluzioni ferroviarie, viabilistiche ed urbanistiche richiederanno tempo e denaro. Occuparsene da subito significa evitare di sprecare l’uno e l’altro.
Per le proposte di dettaglio vi rimando al convegno “Varese futura e l’Europa” che l’associazione ALTA CAPACITA’ GOTTARDO organizza lunedì 27/6 mattina alla Camera di Commercio di Varese, a partire dalle 9.
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