Il secondo referendum con cui nel 2011 l’Italia aveva deciso di bloccare la ripresa del nucleare era legato al “memorandum” tra Berlusconi e Sarkozy siglato nel 2008 che prevedeva la costruzione di quattro reattori EPR di nuova generazione (III+).
All’epoca del memorandum c’erano due soli EPR in costruzione, uno in Finlandia a Olkiluoto e uno in Francia a Flamanville. Il primo è entrato in funzione nel 2022 con oltre 12 anni di ritardo, il secondo è ancora in costruzione e la data di entrata in servizio è stata spostata per ora al 2023. L’azienda proprietaria della tecnologia nucleare francese, Areva, già impegnata nella costruzione in Finlandia è fallita a causa dell’esplosione dei costi che sono quadruplicati. Non è andata meglio a Flamanville, dove il cantiere è gestito da EDF, i cui costi di costruzione sono lievitati fino a oltre 19 miliardi di euro, tenendo conto anche dei costi finanziari come valutati dalla Corte dei Conti nel 2020.
Dunque, se non avesse vinto il movimento antinucleare nel 2011 e si fosse dato seguito al memorandum Berlusconi-Sarkozy, ci saremmo ritrovati con almeno quattro buchi finanziari da 19 e passa miliardi – ammesso e non concesso di non far peggio dei francesi – il fallimento di qualche grande azienda italiana e nessun kilowattora prodotto ad oggi.
Il breve boom delle rinnovabili del 2010-13 – poi bloccato fino a oggi – ha invece aggiunto circa 50 TWh all’anno di elettricità: quanto se non più di quella dei quattro fantomatici EPR del memorandum. Anche negli Stati Uniti è successa una cosa simile. Dopo vent’anni dal “rinascimento nucleare” lanciato da George W. Bush nel 2001, nessun reattore di nuova generazione (III+) è entrato in funzione.
La situazione è però critica anche sull’esistente: il crescente numero di reattori fermi per manutenzione – inclusi i più recenti N4 da 1.450 MW – hanno prodotto in questi anni una flessione della produzione nucleare francese che è scesa di oltre il 25% dal 2015. Da qualche mese cominciano a emergere informazioni preoccupanti anche sugli aspetti tecnologici di sicurezza della filiera EPR. Si è trovata un’anomalia nella distribuzione di potenza nel nocciolo del reattore, assieme a strane vibrazioni nel nocciolo.
Questi indizi sollevati dalle autorità di sicurezza nucleare sono assai preoccupanti: se fossero confermati l’EPR, almeno nella versione attuale, sarebbe un fallimento tecnologico oltre che economico. Sia negli USA sia in Francia, dunque il nucleare di nuova generazione è stato un fallimento, per ragioni interne: nessun referendum in quei paesi. Per ovviare a questo fallimento si è puntato ad allungare la vita dei vecchi reattori ben oltre le previsioni di progetto. Molti reattori negli USA hanno già avuto un’estensione a 60 anni, e la stessa cosa sta accadendo in Francia.
Intanto si è avanzata l’ipotesi di costruire piccoli reattori modulari (SMR). Che oggi si possa pretendere di fare il percorso inverso contraddice tutta la storia di questa tecnologia. E peraltro, nessuno dei problemi fondamentali del nucleare è risolto dalle diverse opzioni in campo per gli SMR. In realtà, come mostra l’analisi di Andy Stirling e Philip Johnstone dell’Università del Sussex, la spinta verso gli SMR è proprio di origine militare e riguarda anche il riammodernamento delle flotte (sottomarini, portaerei) a propulsione nucleare. Ma la loro sicurezza e il problema delle scorie non solo non è risolto, ma rischia di dar vita ad una proliferazione territoriale.
In conclusione, per il nucleare non si vede alcuna possibilità realistica di rilancio significativo nei paesi occidentali. Si punterà a invocare aiuti di stato per rallentare il declino dell’esistente e cercare di mantenere un presidio industriale in quei paesi dove c’è una “causa di forza maggiore”: quella militare. Ahimè, la guerra ha sette vite come i gatti….
You must be logged in to post a comment Login