I russi ci imputano di fare disinformatia. Ma quale disinformatia. In nessuna parte del mondo le loro voci, i loro giudizi, la loro avversione all’Occidente (l’ex presidente e primo ministro Medvedev: vi odio, voglio farvi sparire) è rappresentata come da noi. Politici, giornalisti, uomini e donne di cultura, operatori finanziari, imprenditori eccetera. In tanti tengono a dire/scrivere/far sapere che sì, va bene, tutta la comprensione e l’aiuto possibili all’Ucraina. Però, dai, insomma: l’Occidente ha tante colpe, e dunque calmi a demonizzare Putin. A sopravvalutare l’importanza di conflitti regionali. A mettere in irreversibile crisi relazioni sociali, economiche, religiose perfino. Macron (dicasi Macron) avvisa di non umiliare lo zar, se no ciao pace. Ma che singolare visione delle cose. E peraltro overdiffusa: per trattare, bisogna che gli aggrediti si convincano al passo indietro. Mica gli aggressori. Oplà.
Resta alta la comprensione italiana verso Mosca. Pur se l’ambasciatore a Roma si duole, tra lamenti, rimostranze, recriminazioni, accuse. Al punto che Draghi e Di Maio lo convocano alla Farnesina per fargliela piantare, pena il ricaccio in zona Cremlino. Laddove s’alberga attrezzando una diretta tv Giletti, pop-anchorman di La7. Si collega dalla Piazza Rossa per video intervistare (ma allora a che serviva andare sul posto?) Maria Zakharova, portavoce del ministro degli Esteri, profondendosi in elogi e ricevendone beffe. Una del mazzo: un bambino, caro cronista italiano, sei un bambino. Non conosci né comprendi. Lui subisce, affidandosi a quello che considera stile e invece a chi osserva da casa sembra una stele. Messa sopra alla dignità nazionale: l’inviato d’un nostro massmedium all’estero in epoca di conflitto bellico è infatti identificabile nel Paese.
Il talk-show finisce in tragicommedia. Con l’intervistatore piantato in asso dall’ospite in studio Sallusti, stufo della stercoraria sceneggiata (ipse dixit). E poi con l’intervistatore che sviene. E infine con l’intervistatore che ricompare, ma ormai il disastro è fatto e ce ne dispiacciamo tutti. Ironia a zero, per carità. Ma sconcerto a mille. Esisteva il bisogno d’una tale spettacolarizzazione televisiva? Non esisteva. Bastavano e bastano i fior di servizi quotidiani degl’inviati al fronte, protagonisti di reportage uno più apprezzabile dell’altro.
Che agli sfottò subiti dalla speaker di Lavrov si sommino i piagnucolii del messo diplomatico nell’Urbe è troppo. Specialmente se accompagnati dal coro del Putinpacifismo de noantri, sempre intonato negli acuti contro Draghi, l’Europa, gli americani e alé con la solita tiritera di propaganda masochista. Sarebbe il momento di unità e idee chiare. Invece, divisioni e concetti nebulosi. Non ci sappiamo dar pace nel fare la guerra a noi stessi. Gli zuccheri calano momentaneamente a un teleconduttore, le zucche riluttanti a capire non calano mai. Anzi, aumentano.
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