“Sono proposte suggestive, però bisogna muoversi di concerto con il governo”. Lapidario, Giorgetti non le manda a dire a Salvini dopo l’idea del viaggio in Russia, manifestandogli uno stupore di sasso. Inevitabile la disapprovazione del ministro dello Sviluppo economico verso il segretario del suo partito che, senz’informare alcuno, prende un’iniziativa sgradita a tutti. Quirinale, Chigi, Parlamento, Lega.
Ecco, la Lega. Cresce la trattenuta insofferenza verso il leader. Voce mormorante in riservati pour-parler: ormai Matteo va lungo personali strade, sembra aver smarrito quella maestra. Nessuno tra i big s’azzarda in esternazioni d’ufficiale obiezione, però il disorientamento trapela. Specie dai governatori. E la base è in preda a strizzoni di subbuglio. Semplice la domanda dei militanti: perché, invece d’impegnarsi al massimo per le amministrative ormai imminenti e per i referendum sulla giustizia da lui stesso voluti, Salvini s’impasticcia nella questione della guerra Russia-Ucraina non allineandosi alla strategia dell’esecutivo che sostiene?
Se in tal modo pensa di recuperare visibilità e consensi perduti, rimontando la Meloni data ormai dai sondaggi in largo vantaggio nel centrodestra, si sbaglia di grosso. I pericoli sono due: un flop nel voto comunale, una bocciatura ai referendum. Esiti che si riverserebbero con pesante danno sulle future politiche, nella primavera ’23.
Insomma: il Capitano è bersaglio di sferzanti critiche. Sia pure nel modo sommesso/muto ch’è tipico d’un partito dove le radici leniniste restano profonde. Ma dalla discussione alla rimozione il passo potrebbe risultare breve e improvviso. Le personalità dal profilo alternativo non mancano, a cominciare da Zaia e Fedriga, dato che Giorgetti -per sua indole, vocazione, scelta- rifiuta (rifiuterebbe) la guida del Carroccio. Il tema dell’avvicendamento non appare più un tabù: troppi errori di vertice dopo il trionfo alle europee del 2019. Marchiani, ripetuti, incorreggibili. E allora cambiare non significa bestemmiare.
Tanto più che l’ala tradizionalista della Lega, quella padana/indipendentistica, fa salire alto il lamento. Qualche giorno fa diluvio di rampogne durante un convegno a San Genesio e Uniti nel Pavese, protagonista l’ex ministro Roberto Castelli, impegnato in un tour lombardo di rilancio del movimento “Autonomia e libertà”. L’idea, che trova consensi in alcuni esponenti della vecchia e storica guardia dell’epoca Bossi-Leoni-Maroni, è di presentare una lista propria alle regionali del 2023. Se ne argomenterà il 26 giugno a Pontida, sul mitico pratone. Lo sperato suggello è la firma d’un “Patto di lealtà per il Nord”. Non per Salvini. Che ha da preoccuparsi d’una simile fronda. Simbolica, forse. Ma una pietruzza che potrebbe diventare valanga.
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