A voler essere ottimisti a tutti i costi, anche la pandemia da Covid 22 ha avuto qualche risvolto, se non positivo, almeno utile. Ha elevato l’interesse e, di conseguenza, le conoscenze in alcuni ambiti sanitari.
Ora parole come anticorpi, reazione immunitaria, varianti genetiche non sono più complicate come se appartenenti all’aramaico antico, ma vengono spesso utilizzate anche sulla stampa quotidiana o nelle chiacchiere alla pausa caffè.
Cresciuta di conseguenza anche l’attenzione dei media per tutti i fenomeni sanitari del settore al di là del reale numero dei casi, del loro impatto sulla salute pubblica, della loro vera pericolosità.
Ora tocca salire sul palcoscenico al Monkey pox o vaiolo delle scimmie cioè una infezione causata da un virus della stessa famiglia del vaiolo ma fortunatamente di gran lunga meno grave ed a scarsa velocità di diffusione.
Chi segue questa rubrica forse si ricorderà della storia del vaccino del vaiolo, nato per una grande intuizione di Edward Jenner, verso la fine del 1700. Nell’osservare che i contadini venuti a contatto con il liquido secreto dalle vescicole delle mucche infette dal vaiolo vaccino, sviluppassero una forma di vaiolo umano molto meno aggressivo, postulò la felice idea di creare un vaccino.
In questo caso però parliamo di un virus diffuso prevalentemente in Africa tra piccoli roditori e primati e che può trasferirsi all’uomo attraverso saliva o fluidi animali o per contatto diretto (droplets).
Nell’uomo produce febbre, dolori muscolari, cefalea, reazione linfonodale e reazioni cutanea come la varicella quindi vescicole, pustole ed infine croste. A sua volta può tramettersi da uomo a uomo sempre per contatto.
Chi non è stato vaccinato per vaiolo (in Italia la vaccinazione è stata sospesa nel 1981) è possibile che sia a maggior rischio di infezione proprio perché non in possesso degli anticorpi che sono in grado di contrastare questa virosi, anche se non specifici.
L’infezione è relativamente infrequente nell’uomo ed è stata segnalata una sola epidemia nel 2003 in America legata al contatto con animali importati dall’Africa non adeguatamente controllati.
La malattia si risolve generalmente nel giro di una, due settimane, semplicemente con il riposo e senza terapie specifiche se non antivirali se necessario.
Fino ad ora sono stati segnalati casi in Europa (Portogallo, Spagna ed anche Italia) oltre che in UK , che vedono coinvolti più frequentemente maschi che hanno attività sessuale con altri maschi.
Scontata quindi l’attivazione dell’ECDC (Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie) oltre che l’HERA (Autorità per le emergenze sanitarie), mentre in Italia l’Istituto Superiore di Sanità ha attivato una task force di specialisti e contattato le reti sentinella per le infezioni sessualmente trasmesse.
Le prime raccomandazioni restano quelle di rimanere in casa a riposo se compaiono i sintomi citati e contattare il medico alla comparsa eventuale dei segni cutanei.
Questo per prevenire ovviamente la diffusione del virus.
Il primo caso in Italia è stato intercettato lo scorso 19 maggio presso lo Spallanzani di Roma e lo stesso Istituto ha poi segnalato in tempi successivi altri due casi.
I medici dello Spallanzani hanno sottolineato come il virus si trasmetta per contatto diretto e molto stretto, ma i focolai tendono spesso ad autolimitarsi.
Dallo stesso Istituto quindi nessun allarmismo ma una logica attenzione più elevata, al fine di limitare al massimo la possibile diffusione del Monkey pox.
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