«La Chiesa non deve mancare il suo giudizio dirimente – non politico, non culturale, ma puramente religioso – sui maggiori comportamenti collettivi e su quelle decisioni supreme dei responsabili del mondo, che possano coinvolgere tutti in situazioni sempre più prossime alla guerra generale. La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, qualunque parte venga… È meglio rischiare la critica immediata piuttosto che essere al fine rimproverati di non aver saputo – quando c’era ancora il tempo di farlo – contribuire di evitare le decisioni più tragiche o almeno a illuminare le coscienze con la luce della parola di Dio»: stralcio questa citazione da una coraggiosa omelia pronunciata dal card. Lercaro il 1° gennaio 1968 contro la guerra in Vietnam e che costò all’arcivescovo di Bologna la destituzione (ormai è accertato!) dalla cattedra di san Petronio.
Dobbiamo ammettere che nel corso dei secoli, i capi politici e militari hanno desiderato ricevere la benedizione da parte delle rispettive istituzioni religiose. Per secoli la Croce e la spada sono state unite: “Dieu le veut”, “Gott mit uns”, “in God we trust”, “Sancta Maria” sono state grida di guerra per giustificarla. Anche in questi tragici giorni che viviamo, l’entusiasmo per la guerra ha contagiato alcuni cristiani. Se Kirill non può essere “chierichetto di Putin”, a ovest dell’Atlantico molti vorrebbero che Francesco diventasse chierico di Biden. Liberatosi l’occidente dal regime cesare-papista della cristianità, oggi è l’oriente europeo che usa l’arma della religione per sostenere un paese che certamente democratico non è.
La Santa Sede è una personalità giuridica internazionale che fonda la sua autorevolezza morale non sulla sua simbolica sovranità territoriale, ma sul prestigio che merita per la ricerca della pace e la fratellanza fra tutti gli uomini. Se la Santa Sede, senza rinunciare alla verità, usa, per non ferire l’interlocutore, le armi della diplomazia con lo stile tipico della finezza, del dialogo per incontrare personaggi internazionali, ciascuno dei quali ha una sua sensibilità, papa Francesco al contrario mostra di parlare in modo schietto, chiaro, come fanno i profeti.
Egli ha fatto tutto il possibile per mettersi in contatto con Putin, per cercare di andare a Kiev e a Mosca, per parlare a quattr’occhi col patriarca Kirill. Non c’è riuscito. Ha perseverato instancabilmente negli sforzi per parlare, comprendere e ha inviato suoi stretti collaboratori a Kiev per farsi comprendere.
Ha continuato in molte circostanze a gridare ai quattro venti la necessità di togliere gli ostacoli per costruire la pace che non è un lusso, ma condizione indispensabile per la pienezza della vita umana e per la vita stessa del pianeta. La pace è la sintesi di libertà, giustizia, concordia, al contrario della guerra che è cattiva, barbara.
Il Papa e molti uomini di buona volontà affermano che condizione essenziale per stabilire la pace è il dialogo, che deve partire da condizioni di uguaglianza senza pretendere che tutti siedono al medesimo tavolo, senza dimenticare che parlano a nome dei popoli che rappresentano e che ognuna delle due parti non usi la verità come strumento di potere, come arma per vincere e non sia considerata una concessione del potente, che la regala come se fosse un’elemosina.
L’attuale dissidio non si può risolvere, guardando al passato, quando chi l’ha creato viene eliminato: sarebbe sradicare il male con la forza, provocandone un altro ben maggiore. Non la si trova neppure nell’eliminazione delle cause che hanno generato il dissidio e neppure sulla vittoria di chi ha causato il conflitto. Per costruire la pace non si guarda al passato: il processo storico diventerebbe l’aspetto più importante della realtà, mentre la pace si trova nel presente, in cui la verità ha la priorità.
Ci vogliono dei mediatori? Certamente. Ma costoro non possono imporre la loro pace, questa va cercata assieme. La catena dei torti e delle ragioni si può spezzare solo con l’autodeterminazione dei popoli e con il potere distruttivo delle pretestuose identità etniche irrigidite e contrapposte. L’Europa potrebbe rinascere in una federazione che comprenda anche l’Ucraina ed altri paesi dell’area orientale. Nessun futuro è certo, ma la diplomazia, anche quella della Santa Sede, è l’arte del possibile.
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