Ella è tanto utile cosa questa pace! Ella è tanto dolce cosa pur questa parola pace che dà una dolcezza a le labra! Guarda el suo opposito, a dire guerra! È una cosa ruvida tanto, che dà una rusticheza tanto grande, che fa inasprire la bocca. (San Bernardino)
Ammettiamo che tutti, più o meno, in questi mesi quasi con disperata speranza cerchiamo aiuto anche grazie a riflessioni sulla pace. Dal quis fuit di Tibullo, che maledice la guerra e chi per primo sfoderò le orrende spade, al pacifismo di Hermann Hesse, agli inviti di Maria Montessori ad educare alla pace. Un culturale filo d’Arianna per uscire dalla labirintica e soffocante complessità in cui rischiamo di annegare.
Ma dobbiamo anche ammettere che le prediche di San Bernardino da Siena, talvolta novellette ricche di esempi morali e di inviti alla pace, non sono molto presenti nella memoria individuale e collettiva. Alfredo Cattabiani nella sua raccolta Santi d’Italia lo ricorda come uno dei principali esponenti dell’Osservanza francescana e straordinario oratore in volgare tanto da essere considerato uno dei maestri della prosa italiana del XV secolo e celebre per aver diffuso in tutta Italia il trigramma del Cristo.
E ammettiamo anche che sono attuali le parole che il giornalista e scrittore Giampaolo Dossena scrisse nel 1990 sulle pagine de la Repubblica: Non so se San Bernardino da Siena sia un santo ancora in voga, oggetto di devozioni particolari. Come autore della letteratura italiana, sembra ridotto da tempo a un rilievo di secondo o terzo piano: le antologie scolastiche gli dedicano poche pagine. Ma è un personaggio straordinario: verso il 1425 è l’uomo più famoso d’Italia e nel Quattrocento letterario è l’unico grande scrittore, insieme al Boiardo. Andando per generi, fra i predicatori, San Bernardino da Siena è un gigante, in confronto a Gerolamo Savonarola e a Bernardino da Feltre.
Le considerazioni di Dossena sono un invito a leggere e riflettere sulla intensa prosa di Bernardino, a volte corrosiva, con originali giochi linguistici e ci ricordano come il santo, teologo e appassionato francescano predicatore, ricordato dalla Chiesa il 20 maggio, è quasi dimenticato dalla cultura, alta o popolare che sia.
Chi è battezzato, ad esempio, con il nome di Bernardino? Certo lo ricordano alcuni pittori della sua epoca, una biografia del 1914 del comasco Massimo Bontempelli, lo scrittore futurista, celebre per il realismo magico. Ma chi lo invoca come patrono dei pubblicitari, come stabilito da papa Giovanni XXIII nel 1962, o dei pugili o protettore della raucedine, in omaggio alla voce resa roca dalle incessanti predicazioni?
Fu un uomo e santo con tutte le sue contraddizioni: riconoscente alle donne che lo educarono, lui orfano a tre anni, ma convinto che le donne dovessero essere obbedienti ai mariti, partecipò a condanne di streghe e si interessò, lui nato da famiglia agiata, di economia e di etica del lavoro. Capì il valore della cultura e rischiò un processo per eresia. Fu studioso profondo ma sempre attento ai bisogni pratici. Visse, insomma, le contraddizioni della sua epoca, che, poi, sono le contraddizioni di ogni epoca. Ma la sua instancabile predicazione per portare il messaggio di Cristo attraverso l’uomo nuovo che fu Francesco, non può essere dimenticata.
E venne spesso chiamato, evangelizzatore e pacificatore, là dove c’erano conflitti nell’Italia delle splendide corti che spesso erano in lotta tra di loro. Morì nel 1444 vicino a L’Aquila, dove era stato chiamato per riconciliare due fazioni in conflitto tra di loro. La leggenda racconta che la sua bara smise di sanguinare soltanto quando le due fazioni si riappacificarono. In questa leggenda vogliamo riconoscere l’impegno strenuo per la pace. Solo per la pace che tu hai auta, le vigne so’ state lavorate e hai del vino in abbondanzia… E queste sue parole non sono una leggenda.
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