Massimo Borghesi, docente di filosofia morale all’Università di Perugia, appartiene a quella (rara) schiera di esperti che pur avendo molto da dire, preferisce non esporsi mediaticamente, non urlare le proprie tesi, non schierarsi da una parte contro l’altra, ma piuttosto ascoltare. Il suo linguaggio è quello di chi fa capire concetti complicati con frasi semplici. Non fa pesare la sua conoscenza, al contrario la disponibilità è la cifra della sua carriera accademica.
Ma nonostante questa scelta defilata, Borghesi è una delle voci più seguite nella cultura cattolica. Uno dei pochi che, avendo scritto, tra gli altri, tre libri su Papa Francesco, ha potuto usufruire da parte di quest’ultimo di materiali personali inediti inviatigli direttamente.
Con lui ed alcuni amici ragioniamo via zoom sulla attuale situazione della guerra in Ucraina in un incontro pubblico dal titolo “Il coraggio di costruire la pace” tratto appunto dall’ultima fatica di Papa Francesco. Il “Papa nella sua strenua richiesta della pace è lasciato solo” esordisce Borghesi.“L’Europa ha giustamente messo in atto una serie di misure sanzionatorie verso Mosca, ha sostenuto militarmente la resistenza ucraina, ma, condizionata anche dalla rigidezza americana, non è stata sino ad ora in grado di offrire una soluzione diplomatica al conflitto. Così ogni speranza è riposta nella guerra ed il Papa di conseguenza isolato”.
Più solo di Giovanni Paolo II, il quale al tempo della sua opposizione alla guerra contro l’Iraq, poté almeno godere dell’appoggio del popolo della sinistra oltre che di tanti cattolici. Anche allora l’Occidente giustificò la guerra contro un “asse del male” ma a distanza di vent’anni possiamo giudicare quali siano stati i disastrosi risultati dei due conflitti. E forse l’umiliante ritiro dall’Afghanistan dell’Agosto scorso dovrebbe ricordarci qualcosa.
“L’Occidente – prosegue Borghesi – ha tutto il diritto di chiedere la testa di Putin ma non quello di ripetere l’errore del 1991, quando con il crollo dell’Urss volle stravincere abbandonando l’odiata avversaria in preda alle mafie, al capitalismo selvaggio, alla povertà. Il revanscismo di oggi, il nazionalismo politico-religioso fondato sul mito della grande Russia e che trova sostegno anche nella Chiesa ortodossa, costituisce la reazione all’umiliazione di trent’anni fa”.
Significativo secondo il professore è quanto sta accadendo in Germania. Qui il grande pensatore tedesco Jürgen Habermas, uno dei principali esponenti di quella Scuola di Francoforte, all’origine della rivoluzione culturale seguita al Sessantotto, ha scritto un lungo articolo intitolato “Krieg und Empörung” (Guerra e indignazione) pubblicato sulla Suddeutsche Zeitung in cui prende le difese del cancelliere Olaf Scholz e del suo atteggiamento prudente sull’invio di armi pesanti a Kiev.
Anche per Habermas la premessa è una condanna della guerra di aggressione voluta dal governo russo “contro ogni principio del diritto internazionale” e con una condotta militare di “sistematico disprezzo dei diritti umani”. Tuttavia il filosofo si dice stupito – e ne prende conseguentemente le distanze – dalla “conversione di quelli che un tempo erano pacifisti”, (come per esempio il partito dei verdi) per quanto la loro posizione bellicista, nel caso del conflitto ucraino, possa trovare dei motivi nello sdegno e nella compassione per la situazione.
“Habermas – sottolinea Borghesi – si mostra preoccupato dalle posizioni oltranziste assunte dai media e accusa i critici di Scholz di esercitare pressioni, sino al limite del ricatto, in favore di un esplicito sostegno militare all’Ucraina. Per dirla in altri termini, il filosofo sostiene che la consegna di armi pesanti sia una risposta sproporzionata, che espone la Germania e l’Europa a un rischio di coinvolgimento diretto in un conflitto armato mondiale a rischio nucleare che, invece, andrebbe in tutti i modi evitato”. Le ultime dichiarazioni del Presidente francese Macron a Strasburgo e di Draghi durante la visita negli Stati Uniti sembrano per fortuna andare in questa direzione.
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