“È parte della retorica europeista la bugia secondo cui gli europei decisero di mettersi assieme perché non volevano più farsi la guerra come era avvenuto per secoli. Invece, gli europei si misero insieme perché non potevano più farsi la guerra: non erano più al centro del mondo, ora dipendevano dagli americani e dai russi.” Così scriveva sette anni fa Ernesto Galli della Loggia su un autorevole quotidiano.
È veramente così anche oggi? L’Europa, intesa come UE, ha vissuto un lungo periodo di pace solo perché viveva tra l’incudine americana e il martello sovietico? La stessa tesi circola in merito al conflitto in atto: sotto i missili che bombardano l’Ucraina, distruggono case e infrastrutture, uccidono civili inermi ci sarebbe la lotta USA – Russia. Certamente nel dopo-guerra, l’Europa era schiacciata tra due potenze (quella atlantica a cui avevano aderito tre dei quattro paesi alleati per sconfiggere il nazismo) e l’URSS. La nascita della prima Comunità Europea va contestualizzata in quel periodo storico, ma il desiderio di pace invocato dai popoli che aderirono all’invito di Schuman andava al di là degli stratagemmi militari e politici. Per i padri fondatori costruire un’Europa unita non aveva una connotazione negativa (non volere la guerra), ma estremamente positiva: volere la pace.
Oggi, la Russia di Putin, dopo la dissoluzione dell’URSS, è divenuto un regime oligarchico, desideroso di forgiare nuovamente la magnificenza dell’impero zarista, inglobando nella Russia le tre sorelle russe (Russia, Ucraina, Bielorussia). Egli teme le posizioni filoeuropee dell’Ucraina e la sua possibile adesione alla NATO, cerca di contrapporre due popoli che per storia, lingua, tradizione e religione sono fratelli. Gli USA vogliono recuperare il proprio ruolo egemone, celandosi dietro la NATO. L’UE rischia di mettere in repentaglio la propria economia e la propria unità dovuta in parte all’errore di aver accettato nel suo interno paesi illiberali come la Polonia e l’Ungheria. Tutti cercano la pace. Ma la storia non è quella del 1945.
Putin ha l’enorme responsabilità di aver aggredito un paese sovrano adducendo il pretesto di correre in aiuto delle minoranze russofone o russofile di due provincie del Donbass. L’Ucraina ha reagito con prodezza resistendo all’attacco dell’esercito di Putin. Questo è il fatto. Non siamo di fronte ad un’alleanza il cui scopo è la pace, ma ad una vera guerra di aggressione.
In questa guerra, molti leader e stati nazionali si propongono come mediatori. Molti ammirano papa Francesco che non usa mezzi termini per cercare la pace, è paziente come la tartaruga che piano piano arriva alla meta, anche se usa parole franche, penetranti come le frecce e compiendo gesti che possono ferire una delle due parti. La diplomazia vaticana ha sempre avuto uno stile fondato nel proclamare la verità nella carità, ma in questi giorni c’è più bisogno di condannare il peccato, la guerra, senza umiliare i contendenti.
Per mediare tra USA e Russia occorre rafforzare l’UE. Gli equilibri geopolitici stanno cambiando sotto i nostri occhi e il peggiore errore che potrebbe compiere l’Europa è di subire passivamente la pressione delle grandi potenze. L’Europa ha bisogno in questi giorni (1) di non scostarsi tra i valori fondanti l’UE e la memoria: essere fortemente coesa nel condannare le derive autoritarie, i movimenti populisti e quelli sovranisti. Se, al contrario, si dovesse creare un divario tra i cosiddetti pacifisti e bellicisti, si profilerebbero difficoltà, disagi, disorientamenti, ricerca confusa di qualcosa di diverso, (2) di una reinvenzione del suo modello istituzionale, (3) terminare la fase economica con un’unione fiscale, un nuovo patto sociale tendente a ridurre sotto le soglie minime la disoccupazione, la povertà nei paesi membri più disagiati, (4) iniziare una comune politica di sicurezza, magari realizzando tra i grandi paesi un esercito comune a comando sovra-nazionale, (5) appoggiare la mediazione perché si arrivi al più presto ad un armistizio per poi far spuntare nuovi germogli di pace, traducendo la speranza di tanti uomini e donne in un concreto atto di fratellanza.
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