Poco meno di settant’anni fa, nel 1957, nell’ambito dei trattati di Roma che davano il via al Mercato comune europeo, venne creata anche la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) per coordinare i programmi di ricerca degli stati membri relativi all’energia nucleare ed assicurare l’impiego pacifico dell’atomo. L’Italia ebbe subito un ruolo di primo piano, sia perché la ricerca in campo universitario era particolarmente avanzata, sia perché lo sviluppo delle nuove tecnologie era al centro dell’impegno di alcune industrie controllate dallo Stato come l’Ansaldo.
È proprio all’Italia all’inizio degli anni ‘60 venne assegnato uno dei più importanti centri di ricerca dove installare un reattore nucleare sperimentale. È nato così il centro di Ispra e nel 1968 il reattore iniziò a funzionare producendo una quantità modesta di energia, ma sufficiente a mettere alla prova sistemi di sicurezza e potenzialità operative.
Il reattore venne poi spento nel 1983 e la missione del centro di Ispra è stata progressivamente ridimensionata e indirizzata alla ricerca nell’ambito delle tecnologie ambientali.
Il disastro di Chernobyl nel 1986 e il referendum sul nucleare l’anno successivo hanno posto fine all’impiego del nucleare per la produzione di energia in Italia anche perché i politici hanno badato più a cavalcare le paure popolari che non a approfondire la realtà dei problemi. Spiegando per esempio che l’uso pacifico dell’energia nucleare segue una strada del tutto diversa dallo sviluppo delle bombe atomiche: un incubo quest’ultimo che purtroppo è tornato d’attualità per le minacce del Cremlino insieme all’aggressione all’Ucraina.
E così l’Italia si trova, insieme alla Germania, in una situazione di grande difficoltà per la forte dipendenza dal gas importato dalla Russia. Una situazione del tutto diversa rispetto alla Francia che può contare su 19 centrali nucleari con 58 reattori attivi che coprono il 75% della produzione di energia elettrica: una scelta che viene da lontano e che è stata rilanciata all’inizio di febbraio con l’annuncio di Macron di progettare in tempi stretti altri sei nuovi impianti. Una strategia che ora dà i suoi frutti a livello di costi dell’energia e di sicurezza dell’approvvigionamento.
Parlare di nucleare in Italia è ora quasi impossibile: eppure la ricerca ha compiuto grandi passi avanti e, anche se è impopolare dirlo, l’uso pacifico dell’atomo sarebbe molto più sicuro (e meno inquinante) dello sfruttamento delle altre fonti energetiche.
Ma le posizioni ideologiche e i giudizi sommari hanno il sopravvento e quella del nucleare è ormai una battaglia persa. Anche per Varese che avrebbe potuto avere un ruolo ben più importante dell’attuale nell’ambito dei programmi europei di ricerca.
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