Nel mondo animale, in generale, non sono solo le dimensioni a rendere una specie pericolosa. Anzi se pensiamo alla piccolissima zanzara e a quali danni crea a noi umani come vettore di malattie (ad esempio malaria), ci rendiamo conto che anche l’essere più minuto, può essere in realtà, addirittura il più letale.
Anche il genere umano non si sottrae a questa regola, basti pensare che il quarto tumore più diffuso è quello della prostata (dopo mammella, tumori grande intestino e vescica).
Quest’ultima è una piccola ghiandola solo maschile, delle dimensioni di una castagna, con un diametro di circa 4 cm, nella quale si distinguono anatomicamente una base, un apice e quattro facce (ant/post e due laterali).
Attraverso la prostata passa l’uretra che è il canale di svuotamento della vescica e la zona della ghiandola che sta attorno all’uretra tende ad andare incontro (generalmente a partire dai 50 anni) ad un aumento di volume (ipertrofia) che può quindi determinare una parziale compressione dell’uretra e di conseguenza difficoltà ad urinare.
Nel tessuto prostatico si trovano diverse ghiandole esocrine (cioè che liberano il loro secreto in loco e non nel sangue) che riversano il loro prodotto nell’uretra prostatica. Questo secreto rappresenta circa il 30% del liquido seminale, è ricco di zinco ma contiene anche enzimi ed acido citrico.
Il tumore a carico di questa ghiandola è il più diffuso nel maschio ove rappresenta oltre il 18% dei casi totali, in Italia le persone colpite nel 2020 sono state oltre 36.000 ma la bella notizia è che la mortalità nel quinquennio 2015/2020 è scesa di oltre il 15% grazie alla prevenzione (ed ovviamente alle terapie).
È stimato che a cinque anni la sopravvivenza è oltre il 92% ed è la cifra più alta riscontrata tra i tumori, tenuto anche conto dell’età relativamente avanzata di chi è colpito.
L’incidenza (cioè il numero dei casi scoperti) negli ultimi cinque anni è notevolmente cresciuta anche per la diffusione di alcuni test diagnostici primo fra tutti il PSA (antigene prostatico specifico).
Due casi su tre sono a carico di ultra 65 enni, mentre è molto raro prima dei quarant’anni, hanno rischio doppio di incappare nella malattia coloro che hanno una familiarità o alcuni profili genetici specifici che sono a maggior rischio. Dieta ricca di grassi saturi, obesità e scarso movimento, sono tre fattori riconosciuti tutti come favorenti l’insorgere della malattia.
Nella maggior parte dei casi si tratta di tumori che partono dalle ghiandole prostatiche (adenocarcinomi) mentre ancora più comuni sono invece le iperplasie prostatiche (aumento delle dimensioni) benigne che provocano comunque i disturbi alla minzione citati in precedenza.
Molto importante quindi, visto che i sintomi sono comuni, distinguere se si tratta di una ipertrofia prostatica benigna o di un carcinoma. Questo è fattibile con un prelievo ematico e la ricerca come detto del valore di PSA e con una visita urologica nella quale il medico percepisce con una palpazione transrettale la consistenza della ghiandola.
La prevenzione primaria non si scosta dalle indicazioni generali accennate, vale a dire una dieta corretta, un monitoraggio del peso, una attività motoria regolare. La seconda passa invece in modo obbligatorio dal valore PSA e dalla visita specialistica con cadenza annuale se si hanno familiarità o sintomi specifici.
L’aumento dei valori di PSA è un segnale che va però confrontato con altri fattori, mentre la diagnosi specifica viene affidata alla biopsia della prostata (vale a dire alla raccolta di cellule della stessa che poi vengono analizzate), che può essere effettuata attraverso una biopsia guidata con ecografia transrettale. La risonanza magnetica è poi l’esame che aiuta a classificare ulteriormente l’eventuale malattia.
Vigile attesa e sorveglianza attiva possono essere prese in considerazione dal medico in base al quadro emerso dagli esami.
Terapia chirurgica, radioterapia, terapie farmacologiche sono invece tra le armi a disposizioni dell’urologo in caso di malattia conclamata, da attivare secondo lo stadio della stessa.
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