I legami tra guerre e ambiente sono fortissimi, e vanno in due direzioni: non solo oggi molte guerre vengono determinate da come noi gestiamo l’ambiente e dalla scarsità crescente di risorse fossili, ma anche l’ambiente – suolo, acqua, colture – viene distrutto dalle guerre. E, visto che consumiamo due pianeti e mezza l’anno e una buona parte di questo consumo è legato alle guerre dobbiamo tener conto di come i conflitti del mondo (ben 73 ad oggi) devastano l’ambiente.
La modernità sta prendendo piede a livello globale con il perfezionamento tecnologico della violenza e con la prevaricazione della tecnocrazia sulla democrazia sociale: l’una e l’altra trovano nelle guerre, da quelle a noi più lontane fino a quella nel cuore dell’Europa, un terreno di penetrazione che tocca le menti e il comportamento politico anche a livelli diffusi e popolari.
Uno scarto brusco, fondato sull’abolizione della guerra dallo scenario politico, è doveroso e necessario, per impedire che la prosecuzione degli scontri armati coincidano con un crescendo di potenza distruttrice, irreparabile non solo militarmente, ma inconciliabile con la vita dei civili e la rigenerazione della biosfera che abitiamo. Occorre riconsiderare e abbandonare la cornice geopolitica cui i governanti fanno ancora riferimento, per conquistare una indilazionabile coscienza di come l’ecologia integrale divenga il contesto in cui i conflitti trovano ricomposizione.
Gli esempi sono moltissimi. Penso allo Yemen e alla Siria alla Libia e al Mali, in guerra da anni, dove il consumo di suolo e il land grabbing è fortissimo, e questo ha provocato lo spostamento di milioni di persone in altri territori. Penso alla Colombia, dove un terzo del territorio della Colombia è minato, ma lo stesso vale per l’Afghanistan, come era toccato a Serbia e Montenegro. E purtroppo anche l’Ucraina rischia di subire la stessa devastazione. In Francia, per capirci, ancora si sminano terreni inutilizzabili a causa di residuati bellici della Prima guerra mondiale…
Occorre considerare che troppo spesso concepiamo la guerra come causa e non come effetto. Eppure basta pensare alle migrazioni dovute al cambiamento climatico: oggi abbiamo 350 milioni di migranti per il clima a livello globale, e questo numero è destinato a triplicarsi per il clima entro il 2050. La maggior parte di questi profughi ambientali si spostano nelle città, dove si crea una pressione inaudita che poi causa conflitti, e vince chi detiene il monopolio delle risorse, come l’acqua: la più indispensabile alla vita.
Basti pensare alle tensioni enormi che si stanno scatenando tra Egitto ed Etiopia, per la diga sul Nilo.
L’altro aspetto terrificante riguarda le emissioni climalteranti degli eserciti, che operano sul pianeta. L’Accordo di Parigi non ha reso obbligatorio conteggiare le emissioni di carbonio militari e gli accordi internazionali non calcolano quindi l’impatto ambientale della guerra: enorme, stimato nel 20% (280 milioni di tonnellate di CO2 l’anno) a livello planetario e attribuito per il 66% di quella quota al Pentagono e alla NATO (153 milioni tonnellate di CO2 l’anno). Aumentare le spese militari significa anche questo. Anche sotto questo profilo l’invio di armi all’Ucraina è la
soluzione più inquietante per prolungare la guerra e, di conseguenza, una decisione inconciliabile sia per ottenere la pace, che per contenere la crisi climatica che avanza inesorabilmente.
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