È raro, in un periodo come questo, sentire delle buone notizie. E invece, la rielezione di domenica scorsa di Emmanuel Macron, in Francia, alla Presidenza della Repubblica, è una buona notizia. Lo è stata per tutti noi (senza per questo avere un qualche trasporto personale nei confronti del vincitore) e credo lo sia stata anche per molti francesi che non lo hanno votato, perché l’alternativa Le Pen avrebbe voluto dire fare un salto nel buio (non è un caso che il voto dei pensionati sia confluito in larga parte su Macron). Sarebbe stato un pericolo vero, perché la guida di un paese come quello, che ha un arsenale nucleare di tutto rispetto, sarebbe andato in mano a chi ha dei profondi legami con Putin.
Anzi, qualcosa di più che dei semplici legami. Addirittura, dei veri e propri rapporti d’affari, dal momento che qualche anno fa il Rassemblement National, il partito della Le Pen, ha ricevuto un prestito in danaro da una banca vicina al dittatore russo. Quindi, se le cose fossero andate in modo diverso da come sono andate, la situazione generale sarebbe cambiata davvero in peggio, a cominciare dalla guerra in Ucraina. Molto probabilmente, la Francia non avrebbe tenuto più la posizione che ha avuto finora, allineata col resto dell’Europa, perché la leder dell’estrema destra francese ha dimostrata più volte di preferire la federazione russa al resto del mondo occidentale. E difatti, dopo il referendum plebiscitario che certificò “l’annessione della Crimea alla Russia”, si schierò con Mosca (Rai News). Fatto gravissimo, ma non è stato il solo che le si può imputare, visto che gli euro-deputati di quella parte politica “hanno votato per il 93% contro le risoluzioni che entravano in conflitto con gli interessi di Mosca”, come ha rilevato uno studioso francese che si occupa di queste cose (Nicolas Lebourg).
Dunque, possiamo tirare un sospiro di sollievo e brindare allo scampato pericolo, ma senza esagerare coi festeggiamenti, perché le cose non sono finite qui. Senza entrare nella questione dei numeri dell’esito elettorale, che bisognerà leggere più avanti, con attenzione, il voto in Francia non allontana le nubi che si addensano da tempo su quella realtà sociale. Che rimane spaccata, addirittura segmentata, segnata da tensioni profonde, che il cosiddetto doppio turno alla francese tende a far vedere in forma sfumata perché, alla fine, il confronto elettorale tra formazioni politiche si riduce a due. Mentre invece il cocktail politico esplosivo che si è creato negli anni rimane intatto e ogni tanto dà segni violenti di sé in forma, quasi, di eruzioni magmatiche, com’è stato qualche tempo fa il caso dei cosiddetti gilet gialli.
Il percorso più complesso lo dovrà fare la sinistra che avrà il compito di “riconciliare le classi lavoratrici di origini diverse che oggi sono profondamente divise tra loro, e di conseguenza tornare ad attirare tutti quelli che non credono più nelle promesse sociali ed economiche e che puntano sulle misure anti-immigrazione per cambiare le loro sorti. Ciò richiederà un programma ambizioso per la redistribuzione della ricchezza e un sincero mea-culpa in relazione agli errori del potere. Occorrerà tempo, perché la rottura con le classi lavoratrici è di vecchia data” (Piketty, 2022).
Dunque, rabbia e paura sono gli ingredienti che hanno caratterizzato le ultime elezioni in Francia. Per andare oltre, per superare questo stato di cose, è necessario quel progetto di riconciliazione di cui parla Piketty. E cioè un progetto che sia capace di far chiarezza, che sappia restituire fiducia alla collettività. Un progetto in grado di comprendere i problemi e sappia superare gli egoismi nazionali. Ma l’unico progetto di riconciliazione possibile, però, dovrebbe essere quello che vede un’Europa unita nel segno di quel che era il pensiero dei suoi fondatori. Capace di dimostrarsi forte, coesa, coerente, fondata su democrazia e solidarietà. Capace di parlare agli altri. E di farsi intendere anche da chi non vuol sentire.
You must be logged in to post a comment Login