“Benito Mazzi rappresenta un formidabile esempio di scrittore in grado di recuperare la tradizione narrativa orale del proprio luogo di appartenenza e di opporsi all’attuale propensione linguistica omologatrice attraverso un mezzo espressivo caratterizzato da una mescolanza di italiano e di parlate locali… Nonostante le differenze il dialetto negli scritti di Mazzi e di Beppe Fenoglio svolge una funzione molto simile. Nelle opere di entrambi, infatti, prevale una lingua ibrida originata da un mix di elementi locali e nazionali in grado di vivacizzare il tono della narrazione “.
Questa lusinghiera valutazione, contenuta nel saggio “Il multilinguismo degli scrittori piemontesi”, Grossi editore, frutto di un lavoro di ricerca condotto qualche anno fa dallo studioso Andrea Raimondi per conto di una università irlandese, segretamente lo gratificava più dei molti successi di critica e di vendite ottenuti nel suo lungo cammino di narratore acuto e picaresco; un ricchissimo percorso di vita il suo chiuso domenica 24 aprile nella sua villetta di Santa Maria Maggiore. Fra i tanti premi vinti: il Cesare Pavese di Santo Stefano in Belbo per la narrativa inedita sul mondo contadino (1986), il Coni per la letteratura, per due volte il Selezione Bancarella Sport e poi l’arrivo in volata, come diceva lui innamorato del ciclismo, al Biella letteratura contendendolo a Giorgio Bocca e a Umberto Eco, infine la Selezione al Premio Strega, nel 1998.
Nato nel 1938 a Re, l’ultimo paese con un monumentale Santuario a ridosso del confine con le Centovalli (Cantone Ticino), Mazzi si era dedicato per molti anni all’insegnamento alle scuola medie di Santa Maria Maggiore e al giornalismo locale nel settimanale “Eco dell’Ossola –risveglio ossolano” di cui fu anche direttore responsabile fino al 2003. Ci siamo appunto conosciuti per ragioni giornalistiche legate alla nascita e all’effimera stagione di un movimento autonomista ossolano (Uopa) fiorito lungo il Toce all’ombra del secessionismo leghista bossiano nei primi anni ’80. Conoscendo perfettamente gli umori dell’Ossola e della Val Vigezzo non dava alcun credito a quelle pulsioni localistiche. Discutendo di centralismo e di federalismo diventammo amici, di un’amicizia vera, solida che di tanto in tanto si ravvivava di telefonate e mail che peraltro non amava.
A Santa Maria, quando andavo a trovarlo, l’appuntamento era nella bella piazza della Chiesa in uno dei due grandi caffè all’aperto. Legatissimo alla Valle Vigezzo, teatro principale dei suoi romanzi, era appassionato ai luoghi e alle persone le cui storie di vita, di lavoro e di dolore animano i suoi romanzi; personaggi, come sospesi tra l’ieri e l’oggi, che fanno parte di un paesaggio rurale situato ai margini di una micro regione transfrontaliera delimitata dalle Alpi Svizzere, il Lago Maggiore e la Lombardia. Luoghi lontani dalla forza omologatrice delle grandi città, conservano e coltivano tuttora un forte senso di identità, di appartenenza e di solidarietà.
Numerosi suoi scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco, ungherese, romeno, greco e maltese. Per chi ama il ciclismo, un romanzo popolare a puntate, resta imperdibile “Coppi, Bartali, Malabrocca”, le avventure della Maglia Nera, da cui sono state tratte alcune riduzioni teatrali e mini-fiction televisive. Nel cuore storico di Santa Maria Maggiore in via Rosmini 20, gestiva con la figlia Wally, la simpatica e fornitissima libraria il Rosso e il Blu.
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