Venuto meno Draghi causa Covid, è stato in prima persona il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, sempre accompagnato dal silente ma firmante Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’Eni, a guidare delegazioni italiane in Africa per concludere accordi di fornitura di gas naturale liquefatto, GNL, la costosa alternativa al gas russo.
Per fortuna che il GNL africano comincerà ad arrivare nel 2023 perché prima non sapremmo che farcene a causa della nostra insufficiente capacità di rigassificazione. Non è però affatto detto che entro il 2023 potremo dotarci di nuovi rigassificatori poiché non si trova un Comune in Italia che li voglia sul suo territorio. E anche l’idea che siano messi su navi apposite ancorate a breve distanza dalle coste e collegate da gasdotti alla terraferma incontra la ferma opposizione delle località costiere in prossimità delle quali tali natanti verrebbero messi all’ancora.
In questo quadro c’è da domandarsi perché non si riprende in mano il progetto del GALSI, il gasdotto lungo circa mille chilometri e della portata di 8-10 miliardi di metri cubi all’anno che doveva collegare l’Algeria all’Italia, passando per la Sardegna e approdando infine a Piombino in Toscana: un progetto messo in campo nel 2003, quando a Milano venne fondata la società che doveva costruirlo. I soci erano l’ente statale algerino Sonatrach (41%),, Edison (18%), Enel e la tedesca Wintershall (15,5 % ciascuno) la Regione Sardegna attraverso la sua finanziaria Sfirs (10%) e la Hera, la società multiservizi con sede a Bologna (9%).
Nel 2006 l’allora presidente del Consiglio Romano Prodi firmò ad Algeri un accordo al riguardo con il governo algerino, e un anno dopo ad Alghero lo stesso Prodi e l’allora presidente algerino Abdelaziz Bouteflika sottoscrissero l’impegno ad aprire i cantieri del Galsi nel 2009. Invece non se ne fece nulla e anzi nel 2013 il progetto venne abbandonato (cfr. in questo stesso sito Il gasdotto Algeria-Italia via Sardegna… 6 marzo 2019). E nel 2015 lo si ritrova nelle carte dell’Unione Europea semplicemente indicato come progetto da realizzare tra il 2020 e il 2022, ma non aggiornato né finanziato. D’altra parte nel 2014 la stessa Regione Sardegna — specificamente interessata al GALSI essendo l’unica regione italiana finora fuori della rete nazionale di distribuzione del gas — era uscita dal progetto. I motivi per cui questo gasdotto è stato fino ad oggi rimandato non risultano né dai documenti dell’Unione Europea né da quelli del governo italiano. È noto tuttavia che giocarono in tal senso le pressioni russe e di chi in Europa preferiva puntare soprattutto sul gas russo. Tra i nemici del GALSI, secondo il quotidiano L’Unione Sarda e altri organi di stampa, In Italia c’è anche l’Eni.
Un altro progetto che non cammina, o che cammina pianissimo, è però anche quello dello sfruttamento di Zhor, il gigantesco giacimento di gas (si parla di 850 miliardi di metri cubi) scoperto nel 2015 dall’Eni in un’area di cui ha la concessione al largo del delta del Nilo in acque territoriali egiziane (cfr. fra l’altro in questo stesso sito Giulio Regeni: esigere la verità… 11 aprile 2016). L’idea è quella di avviare in Europa il gas di Zhor facendo perno su Cipro dove potrebbe fluire anche gas di origine israeliana, nonché gas pure estratto dal fondo del mare ma in acque che la Turchia ora rivendica come sue.
Anche al di là dell’attuale emergenza è importante non dipendere da un solo fornitore, sia esso la Russia o qualche altro Paese. Quindi è meglio per l’Europa e per l’Italia attrezzarsi per ricevere gas da varie parti. In questo quadro, oltre che dalla Russia e dall’Azerbaigian come accade finora, anche dalla riva sud del Mediterraneo. Va bene anche il GNL, di cui si fa un grande parlare oggi, ma per il suo costo e per la difficoltà di trovare siti in cui rigassificarlo non è certo la prima carta da giocare.
www.robironza.wordpress.com
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