Ci vuol poco a indignarsi perché i tennisti russi/bielorussi sono stati esclusi da Wimbledon. E perché atleti di svariati sport subiscono l’ostracismo dell’Occidente. E idem a proposito di stelle del cinema, del teatro, della danza, di qualunque disciplina o arte o professione che pagano l’effetto collaterale della guerra di Putin. E avanti così, a risentirsi per le illiberali misure economico/culturali/morali adottate nei confronti di tizio e caio, qui e là, perfidamente, visceralmente, ingiustamente.
Cosa c’entra il fuoriclasse della racchetta, la libellula del palcoscenico, l’interprete magistrale di capolavori teatrali con l’invasione dell’Ucraina? E il maestro di musica, di tavolozza, di penna, e via ecceterando? Nulla, sentenzia il politically correct dell’opinionismo illuminato che condanna decisioni dal sapore di sciocca, vessatoria, controproducente vendetta. Quindi siamo -dico noi, qui nel mondo aggredito dai russi- aggressori del buonsenso, della civiltà, degl’innocenti con passaporto, ahiloro, timbrato oltre le frontiere della Nato e di Kiev.
E invece no. Invece ci vuol poco a indignarsi dell’indignazione imperante, e affermare che è opportuno far così. Come reagisci se uno ti attacca? Ti difendi. In che modo ti difendi? Con ogni mezzo possibile. E perché tra i mezzi possibili non annoverare decisioni di forte impatto emotivo, di larga eco mediatica, di coinvolgimento di settori popolari del vivere quotidiano? S’ignora a quale titolo questi settori pretendano d’essere immuni da sanzioni che sono il risultato d’una costrizione e non l’innesco d’un maleficio. Meraviglierebbe un atteggiamento opposto, se (1) la ragione ha ancora cittadinanza; se (2) la democrazia merita d’essere custodita; se (3) la guerra va combattuta con ogni utilizzabile arma; se (4) l’ambiguità è un atteggiamento riprovevole anziché virtuoso.
È appena il caso di far cenno, dato che molti fingono d’equivocare, a una banalità: oggetto delle rimozioni punitive non sono i singoli, ma la loro appartenenza a un Paese che ne ha invaso un altro, semina orrore e morte ogni giorno, vìola i più elementari diritti della vita, non solo della democrazia. Il colpevole di emarginazioni, esclusioni, cancellazioni dei suoi connazionali dagli eventi mondiali è chi ha sulla coscienza le vittime di Mariupol, Leopoli, Kharkiv, Odessa, pur essendo reduce dalla celebrazione della Pasqua ortodossa, benedetto dal patriarca Kirill, plaudente a tank, bombe, missili. Una vergogna nella vergogna. Ecco, di fronte a questo susseguirsi di vergogne, c’è da vergognarsi un tubo nell’assumere decisioni pacifiche, per quanto drastiche, allo scopo d’evidenziare complesse mostruosità belliche, per quanto contrabbandate come semplici operazioni speciali. Se alla Z di Putin si oppone la W di Wimbledon, siamo nella normalità. Non nell’eccezione. Nel giusto, non nello sbagliato. Viva le palline da tennis che rispondono alle palle di fuoco. Hanno già vinto: game, set, match. Gioco, partita, incontro.
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