Fra un anno voteremo per il Parlamento, con quale sistema ancora non si sa.
Non mi riferisco ovviamente all’annoso e inconcludente dibattito sul semi-presidenzialismo che tanto era stato agitato alla vigilia dell’elezione del Presidente della Repubblica quando sembrava, scioccamente, che l’elezione di Draghi al Quirinale avrebbe portato a questo esito.
No, mi riferisco al fatto che solo in Italia, nella benedetta/maledetta seconda Repubblica il sistema elettorale cambia quasi ad ogni legislatura secondo le maggioranze del momento mentre negli altri Paesi rimane fisso per decenni dando un’impronta allo svolgimento dell’azione politica.
Non sono affatto uno che ammira ciò che avviene in altri Stati e denigra l’Italia, ma una cosa va detta con chiarezza. In Europa i Paesi più grandi votano con regole consolidate e generalmente accettate che non rientrano ogni cinque anni nella contesa polemica fra i partiti. Da noi si improvvisa: un fenomeno deleterio e pernicioso che corrode la politica e che non ha risparmiato nessun partito.
In Germania il sistema proporzionale con sbarramento al 5% è in vigore dal 1949 e le modifiche successive non hanno modificato la norma generale. La stabilità politica è peraltro aiutata dalla “sfiducia costruttiva” che rende impossibile abbattere un governo se un altro non è già pronto. In Italia, in questa legislatura, ne abbiamo addirittura avuti tre di segno politico ben diverso.
In Francia si vota praticamente da decenni con lo stesso metodo a doppio turno con ballottaggio e nessuno si sogna di cambiarlo, nella sostanza, alla ricerca di qualcosa di più opportunistico per la propria parte politica.
Noi non sappiamo ancora se voteremo con la (insoddisfacente) legge che abbiamo, o con il proporzionale o con il maggioritario. Eppure restano solo dei mesi per preparare liste, programmi, alleanze e coalizioni. Come si trasformeranno i voti in seggi? Non è dato conoscerlo, ma questo è l’alfabeto della vita democratica intorno a cui si possono costruire delle offerte politiche leggibili e comprensibili.
La democrazia è regola. Bisogna dare un senso di marcia al voto degli elettori e rispettarlo, quale che sia. Senza la “regola” tutto rischia di apparire come propaganda e fuffa ideologica, volubilità e tattica degli interessi inadeguata e inefficiente. Da qui, anche, la spinta verso le astensioni.
Io preferisco un sistema che induca a chiarire prima del voto quali alleanze per il dopo. Ma soprattutto vorrei un sistema stabile che sia una bussola per la democrazia. Se deve essere il proporzionale, che proporzionale sia, ma con soglie di sbarramento non facilmente aggirabili e una prospettiva duratura.
Non è, questo, un compito del governo ma dei partiti. Approfittino della relativa tregua dell’Esecutivo di grandissima maggioranza e trovino una soluzione.
La normalità istituzionale significa avere, dopo le elezioni, una soluzione politica e non tecnica o emergenziale.
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