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La quarta rivoluzione industriale è già arrivata. Dopo la macchina a vapore, l’elettricità e i computer è giunto il tempo di un nuovo, grande cambiamento che ha alla sua base le potenzialità di Internet.
Con l’informatica associata alle comunicazioni, ma non solo. Perché entrano in gioco le grandi, immense capacità di memoria, collegate alla possibilità di gestire, ordinare, rendere utili i dati.
Per molti aspetti si può dire che siamo solo all’inizio. I telefoni portatili hanno solo trent’anni, ma è solo da poco più dieci che gli smartphone sono diventati in uno spazio piccolissimo dei centri multifunzione che hanno mandato in pensione le macchine fotografiche, le sveglie, le radio, i registratori e talvolta servono anche per telefonare.
Ma c’è ora una nuova frontiera: la dimensione virtuale del metaverso, cioè la possibilità per ciascuno, magari indossati occhiali ipertecnologici, di costruirsi un ambiente su misura a tre dimensioni spezzando il confine tra realtà e fantasia, tra concretezza e illusione.
Non è fantascienza. La società di Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, ha già cambiato il suo nome in “Meta” ed ha deciso di investire dieci miliardi di dollari nello sviluppo di queste nuove opportunità. Il primo passo, già compiuto, è quello dei giochi, sempre più sofisticati e ricchi di effetti speciali. Ma il passo più ambizioso, quasi temerario, sarà quello di poter affiancare la realtà virtuale alla condivisione della vita quotidiana. Con lo sviluppo di algoritmi sempre più complessi per sfruttare al meglio i mezzi ormai tradizionali, come i computer, i telefoni, le telecamere. È così che il commercio, la moda e tutto il mondo digitale stanno cercando nuove strade per estendere i propri mercati.
Solo per dare un’idea di quanto reale sia già ora il business del metaverso nell’ultimo anno gli utenti attivi di una delle prime piattaforme, Decentraland, ovviamente americana, sono passati da poco più di 600mila a 8 milioni e mezzo. A fine dicembre gli utenti registrati erano più di 800mila. Utenti che contribuiscono a generare un volume d’affari di oltre 85 milioni di dollari, dollari reali, non virtuali.
Non è e non sarà facile utilizzare in modo costruttivo la forza delle nuove dimensioni tecnologiche. C’è una grande attrazione nel lasciare alla tecnica l’intermediazione dei rapporti umani. È necessario allora affiancare all’intelligenza artificiale e all’identità virtuale parole antiche, semplici, ma ricche di significato. Come le parole felicità, bene comune, gratuità, solidarietà. Parole che non compaiono più nei manuali e nelle teorie monetarie. Eppure che costituivano i punti fondanti della scuola economica italiana che nel ‘700 ha avuto importanti esponenti come Antonio Genovesi, teorico dell’etica delle virtù. Una prospettiva in perfetta linea con quella di Adam Smith, ingiustamente ricordato solo come il teorico-fondatore del liberalismo. E che fin dalle prime righe nella sua “Teoria dei sentimenti morali” sottolineava come la società non nasca dall’egoismo o dall’aspettativa di guadagno, bensì dalla simpatia, dalla benevolenza e dall’amore per sé e per gli altri. Parole da sottolineare ricordando il grande messaggio della Pasqua che abbiamo appena vissuto. Anche nell’epoca del metaverso. Che purtroppo è anche e ancora l’epoca della guerra.
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