Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio.
Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato. Non ve le ho dette dal principio, perché ero con voi. (Giovanni 15, 26-16, 4)
Il destino del seguace di Cristo non è molto confortante; lo leggiamo nel Vangelo. L’aspetta la cacciata dai luoghi dove pensa di poter affermare le proprie convinzioni, dove relaziona col prossimo, dove è più sicuro perché protetto da mura famigliari: sarà mandato via da casa sua, dalla sua comunità. Si cercherà di ucciderlo, farlo fuori nel proprio muoversi, testimoniare e operare per il bene comune. E chi proverà ad annientarlo lo farà con l’ottusità di chi non conosce Dio, non apprezza la sua bontà, la sua potenza vitale, ma dice di servire la causa del proprio credo, fanaticamente esibito. Lo sa, quel seguace del Salvatore sa che l’attende la croce; esser messo sulla croce è la sua sorte ed egli l’incontra fedele e lieto del sacrificio necessario. Per questo non si scandalizza, perché conosce l’alto valore del dono personale e riconosce l’essenzialità dell’offerta cristiana a salvezza del prossimo; o di sé stesso. Viene la consolazione per ultima, nelle forme dello Spirito Paràclito che dà anche la forza dell’accettazione e del rilancio costruttivo della persecuzione per la propria fede.
Le parole di Gesù riportate da Giovanni non sono per qualcuno, ma per molti. Sono per milioni di persone discriminate e maltrattate poiché credono; oppresse, bandite e spesso sterminate. È così in Medio Oriente, dove seguire Cristo vuol dire estinguersi come martiri nel ritmo folle d’un omicidio ogni cinque minuti; così in Indonesia, dove credere è farsi stuprare, evirare, sventrare e decapitare; e nell’Africa centrale dove sono distrutte la chiese cattoliche con le scuole, gli ospedali, le case di coloro che professano vangeli. Si cacciano gli esodati sudanesi, s’incarcerano per culti non conformi i religiosi cinesi, si torturano i fedeli nell’Orissa, a Mumbai, in India; si converte con la forza nell’Arabia, s’infibula nell’Egitto, si linciano nigeriane, si minacciano ricattandole russe ed uzbeke. E vietnamite e coreane, e filippine… vendette e bestemmie. Evviva Dio! Muoia l’infedele!
C’è lungimiranza nel Vangelo che ricorda come l’uomo che pratica la verità, volendola testimoniare nelle forme più diverse e finanche estremistiche, debba rifarsi allo Spirito che viene da Dio, Padre di tutti. Nello Spirito c’è la fonte della sapienza, della certezza di fare la cosa giusta. Come si fa ad uccidere nostro fratello? Si fa perché non si conosce la comune paternità, né la comune figliolanza divina: “… faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me”. Esiste solamente quel Dio per Padre, quello generoso, saggio, protettore; esiste solamente quel Dio per Figlio, quello mite ed umile di cuore. E per la fratellanza, comune, possiamo godere tutti di quello Spirito che consiglia la pietà, consiglia rispetto, consiglia di volere bene. Forse non siamo stati padri, tuttavia certamente siamo figli: preghiamo nostro Padre perché ci trasformi in fratelli spirituali. Siamo tali in Occidente, dove non fa troppa cronaca l’omicidio di stampo religioso? Riflettiamo su queste recenti parole del Papa: “Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia”. Ce ne siamo già accorti. Per chi ci circonda pare non contare la nostra passione per il Crocefisso; se e quando l’esponiamo, sovente veniamo derisi, scherniti. Ma possiamo rimediare. È sufficiente si prosegua ad amare Gesù platonicamente e senza dar segno della nostra “debolezza”: non vorremmo rischiare di perdere il controllo commettendo delle follie nel nome del Signore, no?
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