In questo periodo pasquale mi è stata inviata da un’amica la foto di un piccolo lattante che guarda il volto di Cristo incoronato di spine. In un altro periodo mi sarei immaginata un dialogo sereno tra questi due estremi: l’infante – etimologicamente colui che ancora non parla – e il Nazareno che per aver parlato fu messo in croce. Una misteriosa comunicazione transverbale tra i due che poteva concludersi con: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Oggi quella foto mi sembra sottolineare i paradossi esistenziali di questo momento storico in cui le notizie positive di relativa ripresa infrapandemica, si alternano a quelle terribili delle stragi in Ucraina, in particolare tra i piccoli. Se da noi ancora, per fortuna, i bambini giocano con i peluches colorati, là in guerra, gli orsacchiotti si colorano di sangue innocente e a decine o meglio a centinaia sono i bimbi morti, massacrati, barbaramente torturati e poi uccisi.
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” recita il Salmo 22. “Perché” potrebbe chiedere l’ignaro lattante a Gesù “tanto e inutile male?”. Non vi è risposta razionale e giustificante questa guerra, come per nessun altro conflitto: solo sofferenza brutale nei confronti di coloro che non sono in grado di difendersi. Vale solo la supremazia. E così le immagini si susseguono generando malessere in tutti noi: dal bambino che porta viveri sulla tomba della mamma morta di stenti, ai racconti di colleghi anestesisti e chirurghi. Solo in sala operatoria riescono a mantenere la loro relativa freddezza, ma poi, ascoltando le drammatiche storie, anche i loro occhi si inumidiscono. Chi svolge la mia professione non si abitua mai alla morte, anzi combatte in ogni modo per la salvaguardia della vita. Ma pur sapendo che vita e morte fanno parte dell’evoluzione della specie, ciò che la guerra provoca non lo si accetta! Quando si osserva su un missile una scritta in cirillico “per bambini”, le speranze di ogni possibile salvezza sono nulle. E lo scoramento più totale ci assale.
Pur essendo una guerra rivolta, come ormai sappiamo, a tutto l’Occidente, per il momento sentiamoci ancora fortunati: da noi si mettono in atto presidi sanitari di prevenzione e curazione già a partire dalla nascita, meglio dall’età embrionale. Là in guerra si bombardano gli ospedali pediatrici e i piccoli affetti da patologie oncoematologiche non riescono sempre a proseguire le cure.
Qui per ogni piccola défaillance scolastica o comportamentale subito si richiede l’intervento di competenze varie a sostegno magari di una semplice maturazione “in fieri”. Cosa ci vorrebbe là per l’elaborazione di quei terribili vissuti? Bambini rimasti orfani o che hanno visto morire sotto i loro occhi i fratellini più piccoli, che hanno perso la loro quotidianità, i compagni di scuola, la loro identità? Se sopravvissuti, hanno ferite non solo nel corpo, ma anche e soprattutto nell’anima, quelle che non si rimargineranno mai.
PTSD è l’acronimo che identifica il “disturbo post-traumatico da stress”, che si sviluppa in soggetti che sono stati coinvolti in eventi catastrofici, bellici, violenti. La sintomatologia è variabile sia come diffusione e coinvolgimento di organi e apparati, che come intensità e protrazione nel tempo. Che ne sarà di tutti quei bambini ucraini? Avranno un futuro sereno? Come potranno superare anche solo parzialmente il cinismo osservato o percepito?
Non ci rimane che farlo chiedere a Gesù dal lattante della foto. E con la domanda anche l’aiuto per una conclusione il più rapidamente possibile di questo conflitto, onde evitare altri inutili massacri.
“Ogni guerra è sempre un atto contro la ragione e il ricorso alla guerra è sempre una sconfitta “. Così sosteneva Padre David Turoldo con la sua voce tonante, mossa da un pensiero ricco di saggezza, di fede e di vissuti drammatici e di sofferenza.
Speriamo che in questa Pasqua insanguinata qualcuno ascolti queste parole e il gemito di Cristo invocante il perdono.
You must be logged in to post a comment Login