È una Pasqua di guerra quella che viviamo quest’anno. È una guerra che appesantisce il nostro cuore, anche se i bombardamenti, i morti, gli eccidi di inermi civili, la fuga impetuosa di bambini, di donne anziane, di malati non colpisce la nostra terra. Aprile è un mese di nascite: la terra prende nuova forza eppure nel cuore c’è la morte, in gola ho un rospo, ho voglia di inveire, di indignarmi contro coloro che giustificano la guerra, addirittura l’esaltano.
Guerra e pace. Morte e vita. Mentre la nostra umanità chiede di essere strappata dalla guerra, siamo impotenti nel trovare la pace. Vorremmo difendere gli oppressi, gli indifesi, gli innocenti, ma non sappiamo a chi rivolgerci. Il cristiano ha l’arma della preghiera, il non credente quella della solidarietà, tutti la forza del dialogo, dell’incontro. Il segreto per ottenere la pace incomincia da qui. Come possiamo parlare di pace, se nelle famiglie regna il mutismo tra coniugi, tra genitori e figli, se nelle scuole e nel lavoro domina la competitività e non la collaborazione, se nella vita socio-politica ci si scanna per ottenere uno scranno, se perfino nelle nostre comunità si litiga per l’orario delle messe e si dimentica che l’Eucarestia, giustamente, comincia con: “La pace sia con voi!” e termina con “Andate in pace!”?
Sempre, in ogni minima disputa come nella guerra, occorre sacrificare gli sterili principi davanti a fecondi compromessi, invece sono sempre più ampie e ferventi le correnti di pensiero basate sull’interpretazione esclusiva della guerra. C’è un criterio per giudicare una disputa, grande o piccola che sia: la propria coscienza e la propria ragione.
Non possiamo rasserenarci in questi giorni solo con il brulicare di iniziative che danno vita a una solidarietà inedita; c’è una compartecipazione emozionante tra organizzazioni umanitarie nazionali e internazionali pubbliche e private, di associazioni, gruppi di volontari spontanei; si mettono in gioco i gruppi bancari e le pro loco; perfino coloro che fino a poco tempo fa indicavano nell’aggressore “il leader migliore della storia” si lavano la cattiva coscienza sconfessandolo.
È una guerra che nessuno ha saputo (o voluto) prevenire e impedire. Hanno responsabilità le organizzazioni internazionali che hanno infastidito l’aggressore circondandolo di basi militari che, all’uomo ragionevole, sono considerati mezzi di difesa, ma che, agli occhi di chi pensa ad una guerra come mezzo per placare le crescenti tensioni interne, appaiono mezzi di offesa. Si sono dimostrati dissennati coloro che hanno valutato come inezia l’assedio delle forze russe attorno a ‘Grozny, l’invasione russa dell’Afghanistan, il rifornimento di micidiali armi alla Siria. Non è meno responsabile l’UE a cui stava a cuore solo tutto ciò che è interesse economico o finanziario dimenticando le aspirazioni di un popolo. Non possiamo sottacere le colpevolezze – e lo diciamo con cuore tormentato – della maggioranza dei cittadini ucraini che, col libero voto, hanno eletto dal 1991 al 2010 presidenti corrotti e di malaffare guidati come assurde e ridicole marionette da Mosca.
L’aggressore è divenuto tale rifacendosi, con una falsa prospettiva storica, agli antichi splendori di un tempo. Vuole rifondare la “grande madre Russia” come ai tempi degli zar, sapendo di avere alle spalle un popolo sottomesso alla sua dittatura, un parlamento – la Duma – ridotta ad un semplice potere consultivo, una stampa a lui asservita. E chiede aiuto alla Chiesa per ottenere compattezza e appiattire la fede a strumento di potere.
Con l’ “operazione militare speciale”- come chiama la guerra – l’aggressore pensava di avere l’appoggio del popolo ucraino, ma ha sottovalutato la sua coesa, decisiva compattezza e ha trascurato la reazione occidentale.
Questa è la storia di cui ci siamo nutriti in questi giorni. Chiediamo al Cristo Risorto di sostituire la nostra collera con il desiderio del dialogo, di far risorgere nell’animo dell’aggressore illuminazione, agli aggrediti di rinfrancarsi nella speranza: E per le vittime il suo abbraccio.
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