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Urbi et Orbi

ACCOGLIERE

PAOLO CREMONESI - 08/04/2022

Roma: oltre 100 bambini ucraini in fuga dalla guerra giocano e imparano l’italiano in parrocchia

Roma: oltre 100 bambini ucraini in fuga dalla guerra giocano e imparano l’italiano in parrocchia

In quello che era il salone dell’oratorio ci sono banchi e sedie. Sul palco una signora mostra grandi cartelli con le lettere dell’alfabeto italiano. Ad ascoltarla una sessantina di giovani mamme ucraine. I loro figli, divisi in gruppi per età, giocano o partecipano al doposcuola nelle varie stanze della parrocchia. Siamo a Santa Maria delle Grazie, a due passi dal Vaticano nel quartiere Trionfale. Qui don Antonio Raimondo Fois ha dato vita il lunedì e il venerdì pomeriggio a una iniziativa di accoglienza che vorrebbe estendere, se arriveranno sufficienti volontari, anche ad altri giorni della settimana.

«Mio padre sardo – racconta il sacerdote – si trasferì nel 1952 a Marcinelle in Belgio per lavorare come minatore. Era una cava vicina a quella dove avvenne la strage del ’56. Ricordo ancora i cartelli: “vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”. So bene quindi come ci si sente ad essere emigrati e in un paese straniero». Il gruppo di donne e bambini ucraini che abbiamo accompagnato vengono subito accolti con efficienza ma anche tanto amore. «I volti impauriti delle madri sfollate stringono il cuore – confessa una volontaria – hanno negli occhi la tristezza per aver abbandonato tutto e l’incertezza per il futuro». I bambini arrivano intimiditi ma poi al contatto coi coetanei si sciolgono e iniziano a giocare. La parrocchia mette a disposizione, in collaborazione con la comunità di Sant’Egidio, anche psicologi e mediatori culturali per affrontare lo shock subìto. Merenda e cena invece vengono offerte grazie alla carità dei romani.

Quella di Santa Maria delle Grazie non è l’unico esempio di accoglienza delle parrocchie romane. A San Giuseppe Cottolengo, zona di Valle Aurelia, oltre al doposcuola due volte alla settimana, sono state aperte le porte della scuola calcio: gli adolescenti ucraini comunicano con i loro coetanei italiani grazie al linguaggio internazionale del pallone. «D’altro canto – osserva il parroco – salvarli dalla guerra è solo il primo passo di un percorso. Bisogna vincere il loro isolamento e la tentazione di stare chiusi tutto il giorno davanti agli smartphone».

La basilica di Santa Sofia sulla Boccea continua ad essere il punto di riferimento centrale per la comunità greco cattolica della capitale e punto di raccolta di aiuti da inviare in Ucraina. Volontari della parrocchia Santa Bernadette Subirous, ai Colli Aniene, raccontano di avere «scaricato oggi il primo furgone, ma ne abbiamo già un altro pronto da portare nei prossimi giorni». Ci sono aziende e agricoltori che mandano i loro prodotti. Sugli scatoloni disposti con rigore, tanto da formare dei corridoi che costringono a muoversi in un ordinato e brulicante formicaio, qualcuno ha disegnato il simbolo della pace utilizzando i colori della bandiera dell’Ucraina.

Don Luigi d’Errico, parroco ai Santi Martiri dell’Uganda all’Ardeatino, ha invece accolto alcune famiglie nei locali di una onlus. «Al loro arrivo – spiega il sacerdote – un’anziana parrocchiana ha fatto trovare dei mazzolini di fiori. Come dire, “siete benvenuti”». Pragmatico e deciso il parroco prosegue: «È l’unica cosa ragionevole da fare: davanti a questo tipo di necessità, si può solo accogliere».

Tra il cimitero del Verano e la circonvallazione tiburtina la “Penny Wirton” funziona a pieno ritmo. Nella scuola di italiano, fondata dallo scrittore Eraldo Affinati e dalla moglie Anna Luce, i giovani ucraini prendono posto accanto a siriani, afghani, eritrei e sudanesi che non hanno mai smesso di arrivare. «Nei prossimi giorni – racconta Affinati – giungerà anche una ragazza da San Pietroburgo. La metterò seduta accanto ad una coetanea ucraina». Nella babele di idiomi che caratterizza la scuola lo scrittore si muove con disinvoltura: «Riprovo -prosegue - l’antica sensazione che molti anni fa mi fece appassionare al mestiere di insegnante: assumere il ruolo del genitore assente, stavolta veramente per cause di forza maggiore. D’altronde la paternità non è sempre putativa?»

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