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Cultura

UN POETA, QUATTRO DIALETTI

ROSALBA FERRERO - 08/04/2022

pozzi“45º parallelo – Similitudini somiglianze intrecci e fantasie nelle culture dialettali da Intra: 45°56’08 N a Pinguente d’Istria 45° 25’ 00” è il lungo e originale titolo dal sapore marinaresco dell’ultima fatica letteraria di Paolo Pozzi, manager, poeta, e studioso di culture dimenticate dalla frenetica storia che viviamo.

Pozzi è tra i Poeti Bosini dell’anno nel 2002 e nel 2006 ed è presente con alcune poesie anche su questo giornale

http://storico.rmfonline.it/jsp-rmfonline/dettaglio.jsp?codice=20100725_07

http://storico.rmfonline.it/jsp-rmfonline/dettaglio.jsp?codice=20100502_06

http://storico.rmfonline.it/jsp-rmfonline/dettaglio.jsp?codice=20100411_08

Ne “Le rime migranti”, una raccolta del 2014, in un centinaio di pagine condensa emozioni e pensieri scritti in bosino e friulano. Nel volume appena edito sostiene che il linguaggio tecnico, razionale, scientifico viene usato nel lavoro, nelle transazioni, nella prassi del vivere sociale; di contro la poesia esprime i sentimenti, dà vita al “fanciullino tenero e sensibile” che è presente, talora assopito, in ciascuno di noi.

Pozzi opera poi un “distinguo” tra lingua e dialetto. La lingua ufficiale omologa e spersonalizza, ma elimina le incomprensioni che gli italiani dovettero affrontare dopo il 1861 perché privi di una “comunanza linguistica” che si sarebbe in seguito realizzata con l’imposizione, a scuola, dell’italiano e col divieto di utilizzare il dialetto.

Il linguaggio è lo strumento che esprime pensieri e sentimenti presenti in tutti gli esseri umani, per accomunarli e non per dividerli: per Pozzi nel dialetto diviene linguaggio particolare, linguaggio familiare, intimo, in cui si possono esprimere emozioni difficilmente esprimibili in modo esaustivo nella lingua ufficiale, che individualizza e rende “coeso” un gruppo.

Il masnaghese parlato dal papà e dalla nonna paterna, insieme al friulano parlato dalla mamma e della famiglia materna hanno lasciato un’impronta nella sua formazione linguistica e culturale che si è arricchita poi con la conoscenza dell’istriano della moglie Marisa e del verbanese del suo “buen ritiro” a Veddasco di Stresa.

In ciascuno dei quattro “dialetti” Pozzi trova assonanze ripetizioni etimi comuni. Da questo assunto trae una miscellanea di riflessioni sulla lingua e sulla cultura con svariati excursus sulle vicende personali, sulla montagna, sulle distese fioriti dei campi friulani, sulle Alpi su cui si è “arrampicato”, sulle dolci colline del Sacro Monte e del Verbanese.

Con acribia affronta vocaboli e li declina nelle sfaccettature in cui si presentano nei diversi dialetti: poi riunisce questi elementi in un puzzle che è lo specchio della sua vita fatta di brandelli sparsi lungo il 45º parallelo.

Ed ecco il parallelo tra brusà o articiocch o ciamà (bosino); brusa e articioch ciama (verbanese) articioco brusà e clamà (friulano); ecco le ghiacciaie di Cazzago Brabbia e le casite istriane simili ai trulli di Alberobello…

Il tema della migrazione e del linguaggio unificante, già abbozzato in forma poetica nel volume “Gli aghi” del 2014, è ora approfondito in maniera sistematica. È un peregrinare da una città ad un’altra, da un mare ad un altro, da un monte a un altro perché tutta la vita è un peregrinare nel tempo e nello spazio dell’uomo, del poeta, di Paolo Pozzi.

Il volume che, comprende un’ampia antologia di poesie e canzoni friulane lombarde e la biografia di ogni autore citato, è corredato da una chiavetta usb con le registrazioni di tutti i canti le musiche, le poesie presenti nel formato cartaceo, e i link per approfondire ogni tema presentato.

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