(O) Dicevano i nostri vecchi, fino a farlo diventare proverbiale: “In temp de guera in pusè bal che tera”. Mi è difficile credere anche a quello che vedo, compresi i cadaveri di Bucha. Non vorrei credere a nulla del genere, né all’orrore omicida e neppure alla grottesca ipotesi della ‘messinscena’.
(S) Credo ai testimoni, che sono sul posto e i cadaveri li hanno toccati con le loro mani. Credo alle auto schiacciate come scatole di sardine con le persone ancora dentro, credo alle case bombardate, ai razzi sugli ospedali…
(C) Cose del genere le ho viste di persona, accadute tra croati e serbi, ma credo anche alla strage di Srebrenica, anche se non l’ho vista con i miei occhi. Purtroppo sono possibili, non incredibili. Non è il momento di essere agnostici, critici sì. Per essere critici occorre guardare la realtà, non cercare di piegarla alle proprie teorie. Il vero critico non si ferma alla lagna e all’invettiva, cerca di motivare un giudizio.
Il criterio che ci può guidare è quello del rapporto tra causa ed effetto. Ho già accennato, qualche volta fa, che anche nelle scienze della natura, che devono arrivare a leggi esatte, tanto da poter prevedere l’effetto futuro di una causa antecedente, occorre tener presente la proporzionalità tra causa ed effetto. Non basta la concomitanza temporale. La stessa cosa vale, per approssimazione, nelle realtà umane. Nel caso della “operazione militare speciale” non c’è proporzione tra gli effetti che vediamo e la causa affermata: respingere una possibile minaccia alla sicurezza dell’immensa Russia o soccorrere i martoriati russofoni del Donbass. Ma se volessi anche allargarmi a motivi meno nobili, non vedrei la minima convenienza nemmeno dal punto di vista della conquista di un potere militare o economico. Tirarsi in casa un popolo ribelle non ha nessun senso, tanto più dopo averne distrutto le industrie e le infrastrutture. La vera ragione è che è esploso il senso di frustrazione per il mancato raggiungimento del destino storico, trasmesso dalla ‘santa Russia’ degli zar all’Unione Sovietica e smarrito dopo di essa.
(O) Ma tu che sei un amante della letteratura, della musica, della spiritualità, insomma di ogni aspetto della cultura russa, come ti spieghi questa esplosione di barbarie?
(S) A questo punto direi che persino gli epiteti di Biden, sono troppo deboli. Sono i macellai che dovrebbero offendersi del paragone con Putin.
(C) Continuo nel mio amore per il popolo russo e per la sua cultura, ma non posso negare che la cultura è sempre stata una caratteristica delle élite, mentre gran parte del popolo, un tempo moltissimi servi della gleba, le “anime morte” di Gogol, era tenuto estraneo ad ogni forma di cultura e trovava consolazione solo nella ritualità delle cerimonie ortodosse. Il fallimento della transizione alla democrazia e alla libertà non è dovuto al fatto che Putin sia un tiranno o un pazzo, ma alla frattura tra popolo e classi sociali più evolute. Come al tempo degli zar, tra l’intellighenzia e la gente comune. La società civile non si è evoluta e non ha fatto evolvere le istituzioni. Potremmo accusare l’occidente di tante colpe, di aver esportato il consumismo e le canzonette, il gender e le tossicodipendenze, ma il senso della libertà e la capacità critica, cioè la democrazia, non la poteva proprio esportare. Doveva essere una crescita interna e interiore. Sicuramente potevamo aiutarli di più.
(O) Per questo motivo oserei sognare che si possa mobilitare il mondo intero per ottenere al più presto una pace onesta…
(S) Pace? Temo sia quasi impossibile anche solo una tregua, un disonesto ‘cessate il fuoco’, un armistizio. C’è solo la disperata resistenza degli Ucraini, che hanno parecchie ragioni di sentirsi abbandonati dall’ONU e di denunciarne l’impotenza.
(C) Oggi mi accontenterei di qualsiasi cosa, pur di fermare questa già iniziata e minacciosa ‘guerra tiepida’, che può diventare bollente. Non sogniamo la giustizia perfetta, non immaginiamo di portare Putin davanti ad un tribunale penale internazionale, non pensiamo di poter instaurare con le armi la democrazia in Russia. Capisco che una tregua, oggi, significherebbe il congelamento della situazione attuale, una vittoria russa e una sconfitta ucraina. Ma sono convinto che in un tempo più lungo andrebbe peggio, le risorse militari russe potrebbero spingere le conquiste fino ad Odessa, alla creazione della Novorossya, dal Don alla Romania, come ai tempi della guerra di Crimea.
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