Siamo in parecchi, credo, in questi giorni, ad arrovellarci la mente su come sia possibile uscire da questa disgraziatissima guerra. Vorremmo trovare tutti (credo) la maniera di fermarla e rimettere le cose a posto. Ma sul come fare, già adesso, ci sono posizioni molto diverse. C’è chi vorrebbe intervenire più di quanto non si stia già facendo, dando altre armi e altra logistica all’esercito di Kiev (se non addirittura, arrivare lì, con dei carri armati) e c’è chi, invece, non vorrebbe neanche il benché minimo impegno militare, sulla base della convinzione che dalle guerre se ne dovrebbe uscire solo chiedendo con forza la pace.
Su questo dilemma, l’opinione pubblica (non solo italiana) si è già divisa, mettendo in evidenza contrapposizioni profonde, che rischiano di diventare delle vere e proprie lacerazioni. E così, si è ricominciato a parlare di crisi di governo. Un’eventualità in questo momento che sgomenta solo a sentir pronunciare la parola. La contrapposizione è stata scatenata dalla cosiddetta proposta di riarmo. Dal disegno europeo di aderire alla richiesta di incrementare l’arsenale militare di ogni paese dell’Unione, stanziando risorse finanziarie fino al 2% del PIL, entro il 2024. Si parla anche di costruire una difesa comune europea, dei 27 paesi che ne fanno parte, per contrapporsi alla federazione russa (e a chiunque altro), con una forza di dissuasione adeguata e coordinata, capace di fare da deterrente a qualsiasi iniziativa bellicosa, da parte di chiunque si azzardi a minacciare la pace.
Papa Francesco, in questi giorni, ha chiesto a gran voce che “L’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla della storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia”. Un’invocazione del tutto comprensibile e condivisibile, su cui non è possibile in nessun caso sorvolare, perché interroga tutti quanti noi e obbliga a trovare delle risposte, perché tutti (credo) vorremmo abolire la guerra. Almeno, lo vorrebbero tutti coloro ai quali è rimasto un minimo di raziocinio e che hanno ben a mente i disastri delle guerre passate. E per questo, possono comprendere quel che potrebbe voler dire quella futura.
Il problema è capire come fare. Come è possibile arrivare a far tacere le armi, se non contrapponendo armi ad altre armi? Non è facile nell’immediato. Le riflessioni sul pacifismo hanno prodotto, sostanzialmente, tre indirizzi. La cosiddetta prospettiva realistica, che vede la pace come effetto dell’equilibrio tra forze in campo, arsenali che si contrappongono ad altri arsenali, un equilibrio analogo a quello su cui abbiamo vissuto negli ultimi 70 anni, con la deterrenza nucleare; è la più semplice e la più intuitiva. Poi, ce n’è una seconda, etico-finalistica, fondata sull’idea che l’uomo sia capace di rinnovare costantemente i suoi valori morali per opporsi alle guerre. E infine, ce n’è una terza, la cosiddetta prospettiva istituzionale, basata sull’idea, cioè, che si possano costruire delle istituzioni capaci di regolare anche contrapposizioni e conflitti tra stati. Un qualcosa di simile all’ONU, ma più autorevole e più indipendente (Greco, 2022).
Dunque, non ci sono soluzioni a portata di mano, semplici e immediate, per uscire da questo garbuglio. Nessuna delle prospettive citate è realizzabile in tempi brevi. Quindi, non c’è altro che sperare in bene e rammaricarsi (senza dimenticare) del fatto che negli ultimi decenni non abbiamo costruito assolutamente niente, neanche l’abbozzo di una solida prospettiva di pace. In tutto questo tempo avremmo potuto e dovuto sviluppare delle politiche di un qualche respiro, altruiste, pervicaci, capaci di pensare in grande. In grado di superare l’egoismo delle sovranità nazionali, il vero nodo da sciogliere per sviluppare progetti di pace in una prospettiva globale. E invece, siamo rimasti fermi in mezzo al guado, con un’Unione Europea che ancora oggi non è, purtroppo, né carne né pesce. Ancora una volta, dunque, questa crisi è figlia della qualità della rappresentanza politica che ci governa, che dovrebbe avere capacità e lungimiranza. Tutta merce scarsissima sugli scaffali della politica dei giorni nostri.
Non ci resta che rileggere Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, un libro pubblicato per la prima volta nel lontanissimo 1966 e poi ripubblicato ben quattro volte e tuttora di grandissima attualità. Una fascina a cui scaldarsi un po’ (in mancanza di gas).
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