L’ultimo dato ufficiale è quello di marzo quando, secondo le rilevazioni dell’Istat (l’Istituto centrale di statistica), l’indice nazionale dei prezzi al consumo ha registrato un aumento dell’1,2% rispetto al mese precedente e una crescita del 6,7% su base annua.
Ma prima che dei dati ufficiali ogni famiglia ha potuto toccare con mano come lo scenario dei prezzi e delle tariffe stesse drasticamente cambiando. Le bollette del gas e dell’elettricità sono praticamente raddoppiate rispetto all’anno scorso e gli stessi prezzi delle mele o delle zucchine hanno segnalato sensibili rialzi.
Le previsioni accreditano una sostanziale stabilità ad alti livelli per i prossimi mesi per poi avviare una lenta discesa nella seconda parte dell’anno per attestarsi tra il 4 e il 5% come consuntivo 2022. In questo caso le previsioni appaiono tuttavia più che altro degli auspici perché i fattori che potranno condizionare gli eventi sono non solo numerosi, ma anche drammaticamente gravi. In primo piano l’aggressione russa all’Ucraina, con un bilancio in continua crescita di morte e distruzione. Ma anche con riflessi economici molto pesanti per effetto della guerra economica che si è scatenata con le sanzioni imposte dalle nazioni occidentali alla Russia e le risposte di Mosca fino all’obbligo di pagare in rubli, alzando così notevolmente i costi, le forniture gas e petrolio.
Una cosa è certa. Si è ormai rotto quell’equilibrio di fondo del sistema dei prezzi che aveva contraddistinto le economie europee negli ultimi venticinque anni, cioè dall’introduzione della moneta unica europea. Per ritrovare aumenti dei prezzi come quelli degli ultimi mesi bisogna infatti risalire agli anni ’80 dove, soprattutto in Italia l’effetto congiunto di un’alta spesa pubblica, di elevati tassi di interesse e di continue svalutazioni della lira portava a quella pericolosa inflazione a due cifre (oltre il 10%) con pesanti ripercussioni sulle prospettive dell’economia e il livello di vita delle famiglie.
Poi è arrivato l’euro e dal Duemila l’inflazione non ha mai superato il 3% garantendo un sostanziale mantenimento del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni insieme a costi più bassi per il finanziamento del debito pubblico e spingendo le imprese a migliorare la propria competitività senza le scorciatoie delle svalutazioni.
Il primo fatto che ha rotto questa stabilità è stato la pandemia che ha costretto tutti i paesi a rinunciare agli argini della spesa pubblica per sostenere le imprese bloccate dalle misure per il contenimento del virus. Il secondo elemento è stato la vivace ripresa economica che si è sviluppata una volta superata l’emergenza, ripresa che ha fatto crescere la domanda di beni e servizi a fronte di un’offerta ancora bloccata. Il terzo, ahimè tragico, fattore è stato ed è l’aggressione russa all’Ucraina che ha fatto volare le quotazioni di gas e petrolio anche per i timori di un blocco delle forniture.
Tutti questi elementi fanno ritenere che il forte e improvviso aumento dei prezzi non sia solo un temporale estivo, destinato ad esaurirsi dopo qualche fulmine. Rimettere insieme i cocci del vecchio ordine economico non sarà né facile, né rapido. E ognuno di noi si troverà ogni giorno a pagare il conto delle follie di un dittatore.
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