Quella domenica pomeriggio ero di servizio in Pronto Soccorso. Si sente l’urlo di un clacson alla porta d’ingresso del personale. Attraverso i vetri vedo un amico, dipendente dell’Ospedale, salire gli scalini con in braccio un bimbo, suo figlio, con le gambe che rivelano grave frattura scomposta dei femori, il capo pendente inerte indietro, Tutto sbagliato, penso: non si deve trasportarlo così, si peggiora tutto. Ma la disperazione di quel padre é tanta. Tengo spalancata la porta e mettiamo il bimbo, bellissimo, sul lettino in terza sala, la più vicina. “Chiamate di sopra l’anestesista, (allora la Rianimazione era sopra i locali del Pronto Soccorso) intanto veloci prendiamo una vena prima che collassi. Per ora la circolazione è valida”.
Nel contempo altri infermieri svestono il bimbo tagliando i vestiti per muoverlo il meno possibile. Scoperto, l’addome appare teso e gonfio. Il respiro è buono. Il bimbo ha momenti di lucidità. Chiede il papà, che in un angolo della struttura piange disperato con la moglie, anche lei infermiera in Ospedale. In accordo con l’anestesista, lo spostiamo veloci in Rianimazione. Ci dicono che Il bimbo camminava felice in una stretta via di un paese vicino a Varese, dove la circolazione dei veicoli è più che limitata ed è stato investito da una macchina che procedeva troppo veloce. Son passati più di quarant’anni ma l’immagine di quel padre che porta disperato suo figlio, cercando di far più in fretta che può, è lì davanti ai miei occhi. Il bimbo tutto deformato, che nemmeno più piange, e i genitori gelati, straziati dalla disgrazia.
Ho rivissuto il dolore dell’evento qualche giorno fa: una foto scattata di recente riprende un padre siriano che esce disperato da una poverissima casetta bombardata, urlando, invocando aiuto, con in braccio una bimba morente, appena colpita da una esplosione. Tutto come quella brutta domenica. Il dolore è fortissimo e squarciante quando viene colpito in modo grave un figlio e tu impotente lo vedi andar via ucciso. Il dolore è sempre immenso di fronte alla morte di un figlio ma da impazzire nel momento di una disgrazia violenta che cancella qualsiasi speranza. Ti rendi conto che non hai nessuna possibilità di rimedio.
La chiamano legge ineluttabile delle guerre (anche quella del traffico è una guerra con tante vittime) e i mezzi d’informazione ci dicono che questi drammi si stanno ripetendo oggi in Europa, come da molto tempo nel medio oriente.
Tanti minori uccisi direttamente dalle armi e spesso anche da ordigni, simulanti giocattoli, proditoriamente disseminati nei territori. E quanti di questi sono stati fabbricati da noi, in Italia! Di fronte ad un bimbo ucciso sorgono tante domande. Giocavi felice fino a poco fa ed ora, perché sei nato, perché non sono morti quelli che ti hanno colpito? Sono felici d’averlo fatto? Uccidere te innocente è proprio necessario? È una vittoria? Quale strategia giustifica la tua morte? Che minaccia eri tu? Che significato ha tutto questo? Perché l’uomo è così crudele?
Nessuno uccida Caino – dice la Bibbia – ma perché lui è sempre così attivo? È senza capacità di pentimento e per questo non c’è rimedio
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