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Attualità

DIETRO L’ACCOGLIENZA

FABIO GANDINI - 01/04/2022

naiC’è lo slancio, il moto del cuore, la ricognizione del bisogno altrui come proprio. Ed è la base, ma non basta.

La settimana scorsa abbiamo raccontato le piccole storie di solidarietà varesina, ognuna una favola da opporre a un incubo della guerra: i pullman partiti e tornati carichi di anime e di speranza, anziani soli diventati improvvisamente “nonni” di mamme e bimbi in fuga dalle bombe e amicizie salvifiche che non hanno esitato a riattivarsi nel momento del bisogno. Tutte uniche, tutte importanti.

La solidarietà, però, è una macchina necessariamente complessa. Collettiva, prima che individuale. Tecnica, organizzata, dettagliata. Dietro al moto del cuore, anzi prima di esso, propedeutico allo stesso, ce ne sono cento di ingegno logistico. Nulla infatti può essere lasciato al caso, soprattutto nell’accoglienza: una comunità che si allarga non se lo può permettere, andrebbe a nocumento sia dei cittadini, sia soprattutto degli ospitati.

Davanti all’emergenza ucraina il primo centro che si è attivato è stato, nella nostra provincia come nelle altre, la Prefettura. A Varese, fin dall’inizio del mese di marzo, si sono svolti periodici vertici che hanno riunito intorno a un tavolo sindaci e rappresentanti delle forze dell’ordine. E in questa sede sono state determinate le linee guida in materia di segnalazione degli arrivi, di ospitalità degli stessi e di assolvimento degli obblighi sanitari (quelli legati al contrasto della pandemia ma non solo).

Forte di una tal impostazione generale, ogni Comune ha così potuto allestire una “sotto organizzazione”, valida esclusivamente per il proprio territorio e atta a istruire i propri cittadini, mettendo in rete le risposte solidali e dando un volto, un nome e una soluzione a qualsiasi esigenza.

A Busto Arsizio, dove attualmente sono 150 i profughi ospitati, il primo passo è stata la creazione di una pagina web sul sito comunale, contenente un vademecum per tutti coloro che avessero intenzione di proporsi per l’accoglienza. A Gallarate, 141 fuggiti dalla guerra oggi presenti, stessa strada: sul portale informazioni per la trasmissione di documenti, l’orientamento, la mediazione linguistica e le iscrizioni a scuola dei più piccoli.

Scuola? Aspetto fondamentale. Nel campo la città di Varese è diventata d’esempio in Italia grazie al NAI (Neo Arrivati a Scuola), struttura nata per garantire a tutti i non italiani, dai 6 anni in su, un esercizio proficuo del diritto universale allo studio. Gli studenti ucraini, e prima di loro qualsiasi straniero, passano da questo centro, dove vengono seguiti dagli insegnanti messi a disposizione dagli istituti cittadini e dagli educatori comunali. Nel frattempo vengono iscritti in automatico anche a una scuola, in una classe corrispondente alla loro età. L’integrazione lavora quindi in parallelo: il NAI si premura di abbattere la barriera linguistica, ma lo fa nello stesso momento in cui il giovane studente inizia a vivere una regolare socialità scolastica. Nessun “ghetto” quindi, nessuna separazione: solo un aiuto. Dall’inizio di marzo sono una trentina, tra bambini e adolescenti, gli ucraini che vi hanno varcato le porte.

L’insegnamento della lingua è considerata priorità anche per gli adulti, perché conditio sine qua non per una loro permanenza socialmente attiva. Corsi di italiano sono stati organizzati da diverse amministrazioni, così come è stata promossa l’apertura di numerosi centri d’aggregazione: non ci sono solo i bisogni materiali, infatti, dietro a una vita che viene salvata.

Multiforme l’esperienza nelle realtà più contenute: a Gorla Minore a coordinare il tutto ci pensa un’unità di crisi, a Besozzo è stata ideata un’accoglienza territoriale diffusa e nella squadra sono finiti anche Monvalle, Caravate, Bardello, Malgesso, Bregano e Gemonio. A Gavirate, dalla prima alba del conflitto, funziona un “Comitato Promotore dell’Accoglienza”, che sotto di sé ha messo le 21 associazioni cittadine: ora passa tutto da lì, acquisto dei medicinali compreso.

«Dove ci sono tre figli ce ne può essere anche un quarto» è una frase meravigliosa sentita a Olgiate Olona e pronunciata da un padre di famiglia che aveva appena dato la sua disponibilità ad aprire le porte di casa propria. Parole che fanno scorrere brividi di felicità e sollievo, ma anche parole vuote se, “dietro”, non ci fosse tutto quanto accennato.

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