La follia della guerra in Ucraina ha aperto in Europa una crisi umanitaria senza precedenti dal secondo dopoguerra ad oggi. La pace lunga settant’anni ci aveva portato a credere che sul continente europeo fosse possibile evitare conflitti armati e basare le relazioni tra Paesi facendo leva unicamente sui valori della cooperazione internazionale, rendendo difficile anche solo pensare a una guerra combattuta sul territorio con mezzi tradizionali.
Ma la violenza dei bombardamenti che imperversano su città, abitazioni e scuole, con migliaia di civili ucraini in fuga, ci riportano a una realtà diversa con cui fare i conti. L’Italia e L’Europa sono di fronte a un’emergenza nuova, che irrompe proprio all’indomani di due anni di pandemia, rimettendo ancora una volta in discussione le nostre certezze.
In questo scenario drammatico, i Paesi europei hanno saputo dare una risposta immediata, attivando una rete di solidarietà verso l’improvviso flusso migratorio di bambini, donne e famiglie in fuga dalla guerra.
A tutti i livelli si è messa in moto una risposta compatta in nome dell’accoglienza.
A Varese ad esempio, a pochi giorni dall’inizio del conflitto, si è aperto un tavolo di lavoro con enti e diverse realtà attive sul territorio in tema di assistenza umanitaria, per strutturare il sistema dell’accoglienza. Nelle scuole cittadine abbiamo accolto con rapidità i primi bambini in fuga dalla guerra, grazie al progetto NAI che offre un percorso di prima alfabetizzazione dedicato ai bambini e ragazzi stranieri iscritti alle primarie e secondarie di primo grado della città. Nei giorni scorsi si è tenuto un incontro dedicato ai medici volontari che hanno dato la propria disponibilità per dare supporto sanitario ai profughi in arrivo. Molti varesini hanno aperto le porte delle loro case per ospitare le persone in fuga. Si è attivata quindi anche a livello locale una rete di solidarietà, forte dell’esperienza maturata negli anni di emergenza sanitaria.
I nuovi profughi hanno destato un senso dell’accoglienza che sembra assumere una connotazione in grado di accomunare tutti, tanto da farci assistere a leader politici che dopo aver invocato per anni i porti chiusi ora d’un tratto si prodigano in maldestre manifestazioni di solidarietà.
Si apre insomma una riflessione su quale debba essere il nostro atteggiamento verso chi fugge da guerre e conflitti, se esistono profughi veri e profughi finti, se si tratta di un’onda emotiva destinata ad esaurirsi o se tutte le vittime di guerra meritano il nostro impegno, al di là degli schieramenti politici.
Di fatto la guerra così vicina al vecchio continente sta cambiando l’approccio sull’immigrazione, tanto da indurre ora la stessa Unione Europea a rivedere la politica sui migranti e il tema della protezione internazionale a chi fugge dai conflitti.
Temi che a livello nazionale risentono di una politicizzazione da parte di alcune forze politiche che ha ostacolato lo sviluppo di un adeguato sistema dell’accoglienza, esasperando paure e facendoci trovare impreparati di fronte all’impatto di questo esodo. Ora è il tempo di adottare una visione di lungo periodo, affrontando nel concreto le necessità dell’accoglienza e di integrazione in tutte le sue fasi.
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