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Cultura

ERESIE MEDIEVALI

LIVIO GHIRINGHELLI - 25/03/2022

arnaldo

Arnaldo da Brescia

Agli inizi del Mille appaiono improvvisamente focolai di contestazione ecclesiastica in apparenza senza stretto legame con le eresie dogmatiche dei secoli precedenti. Sorgono isolatamente in luoghi diversi ad opera di chierici o di laici insoddisfatti della Chiesa del tempo e ben presto diventano movimenti tipicamente popolari, muovendo aspre critiche ai costumi del clero concubinario e simoniaco; rigettano determinate pratiche rituali o devozionali e contengono spesso rivendicazioni sociali, al fine di abbattere privilegi feudali imputati anche alla Chiesa.

A seguire la riforma gregoriana dall’alto, proclamata da Ildebrando di Soana divenuto Papa Gregorio VII, a contestazione del donatismo (non validità dei sacramenti amministrati da preti indegni), nonché delle prevaricazioni del potere imperiale a danno dell’autorità della Chiesa. In questo contesto è da segnalare il movimento della pataria, sviluppatosi soprattutto a Milano, ma anche in altre città italiane nella seconda metà del secolo XI: centrale il boicottaggio liturgico. Tra i fautori di questa riforma Anselmo di Baggio, futuro Alessandro II e il prete Arialdo. L’estensione del patarinismo viene a riguardare anche la Francia e i Paesi Bassi. Dall’opposizione interna, che persegue il ritorno agli ideali primitivi di purificazione dei costumi del clero e di semplicità e povertà della Chiesa, tendono a svilupparsi via via tendenze più radicali, si delineano correnti di evangelismo più rigoroso.

Nella prima metà del sec. XII Pietro de Bruis accetta soltanto il Vangelo e le lettere di Paolo, nega il valore delle chiese, del canto e dei riti, brucia le croci, rifiuta la gerarchia ecclesiastica e, stando alla contestazione del cluniacense Pietro il Venerabile, crede nella salvezza per la sola fede; meno perentori sono gli esiti delle convinzioni di un suo discepolo, il monaco Enrico, che insiste sui temi della carità, povertà e penitenza. Vicino al moto enriciano è quello promosso negli anni Settanta da Valdo di Lione, in origine autenticamente cattolico, in opposizione al dualismo etico-antropologico dei catari, con l’esigenza comunque della libera predicazione del Vangelo nella lingua parlata del popolo e il richiamo alla povertà come modello di vita comunitaria (tutti i propri beni ai poveri). Inevitabile la scomunica dell’arcivescovo della città Giovanni Bellesmains. I valdesi furono anatemizzati a Verona nel 1184 dopo la cacciata da Lione verso il 1181-1182. Contrasti presto sorsero tra i valdesi francesi e quelli lombardi, quindi tra gli stessi lombardi sotto il loro capo Giovanni di Ronco, rivale di Valdo. Antidonatisti i francesi, donatisti i lombardi in tema d’eucaristia. Il lavoro manuale, condannato dai francesi, è rivalutato invece dai lombardi, in ciò eredi degli arnaldisti e degli umiliati. Il traducianismo è caratteristico dei soli lombardi.

Pochi eretici possono competere con Arnaldo da Brescia (1090-1155) per altezza d’ingegno, virtù d’eloquenza, austerità di costumi. A Brescia combatte contro il vescovo a difesa del popolo per le libertà comunali, in Francia contro san Bernardo a difesa d’Abelardo, suo maestro e della libertà di insegnamento, in Roma conto il Papa a difesa della repubblica per la libertà del potere civile. Vede nella restaurazione repubblicana la rinascita della vita cristiana. Insiste sulla separazione delle due spade, quella temporale e quella spirituale, avversa la Curia romana avida di dominio terreno. Più che elaborare dogmatiche ereticali, si dimostra amico del basso clero, del popolo minuto e della piccola nobiltà, di tutte le classi sociali angariate e sfruttate. Sale al rogo sotto le mura di Castel S. Angelo e le sue ceneri sono disperse nel Tevere, perché il popolo non ne faccia oggetto di culto.

Quanto al catarismo in Lombardia si oscilla tra due dualismi, quello radicale del gruppo di Desenzano, quello mitigato di Concorezzo.

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