È nota la pessima situazione in cui si trova il Brasile, sotto il governo di Bolsonaro (per ora ancora appoggiato dall’agrobusiness, padronato e militari), un paese in cui è ritornata la fame per 20 milioni di persone, mentre altre 116 milioni, il 60% della popolazione, soffrono di diversi livelli di insicurezza alimentare.
Porto qui alcune considerazioni sul nesso estrattivismo-contadini-agroecologia, cibo sano, ambiente e crisi climatica, realtà talmente interdipendenti che si possono considerare una realtà unica, che pretende soluzioni unitarie.
In relazione all’estrattivismo, cioè lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, insieme a quello minerario è doveroso parlare di quello agricolo. Entrambi sono una guerra alla natura, per il consumo abnorme che fanno di acqua ed energie fossili, con materie prime e prodotti per la maggior parte mangimi ad uso export.
In Brasile questi due tipi di estrattivismo sono dominanti fin dall’inizio del colonialismo. L’estrattivismo agricolo oggi prevalente in Brasile è quello della soia OGM, circa 35 milioni di ettari, del mais, con 17 milioni di ha e della canna da zucchero, con 10 milioni di ha. Si tratta di monoculture intensive in mano all’agrobusiness (latifondi, multinazionali e capitalismo finanziario), un’agricoltura che è stata felicemente definita “Agricoltura petrolifera-mineraria” e “Senza Contadini”. In tutto il primo mondo, con la Rivoluzione Verde degli Anni ’60, si è decimato il numero dei lavoratori rurali, cioè la quota di lavoratori nel 1° settore; ora la media è l’1-3% in Europa Occidentale e USA.
In parallelo in questi paesi è aumentata la popolazione urbana, ormai superiore all’80%. In America Latina, purtroppo, l’Argentina ha dati simili ad Europa e USA, ma in Brasile, nonostante la forte e storica espulsione di contadini nelle favelas, nel 2010 si aveva ancora il 16% di popolazione rurale, in discesa rispetto al 25% del Censimento del 1991, con i lavoratori impegnati nell’agricoltura familiare scesi di 2,2 milioni. Sono dati impressionanti, che indicano un cammino analogo, nel prossimo decennio, a quello italiano nel dopoguerra, ma in un paese scarsamente industrializzato e arricchito da grandissimi fiumi.
Probabilmente, il ritorno alla terra e la produzione agroecologica di cibo saranno la vera e principale soluzione per l’umanità, così debole e spaventata di fronte ad un minuscolo virus che ha fatto il salto di specie a causa dell’avidità umana. Penso che i 13 milioni di brasiliani che vivono nelle favelas (ma anche chi vive nelle città con aria pessima come Milano e in tutto il Nord di Italia e le centinaia di milioni che si ingozzano di cibo spazzatura) hanno un’immunologia ben debole, sono praticamente già dei malati cronici, tendenziali fin da giovani, malati reali nell’età più avanzata.
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