Tutti la sperimentiamo e angosciati ci domandiamo: perché così tanta sofferenza in questa umanità? Siamo nati solo per soffrire? Ma perché c’è? E questo da millenni! Anche coloro che sembrano sereni hanno dentro, nel loro intimo, il morso della sofferenza.
Lei, la sofferenza, sempre presente, diventa sempre più aggressiva nel corso dell’esistenza, come se qualcuno la alimentasse: purtroppo è proprio così e viviamo il paradosso di noi che cerchiamo di superarla, ma nel contempo continuiamo a provocarla, a stimolarla.
Domina un’innata diffidenza nei confronti degli altri; è sempre presente un atteggiamento d’allerta nei rapporti con i simili. Questa situazione sfocia nell’aggressività tanto che constatiamo come certi soggetti arrivino ad eliminare fisicamente quelli che considerano loro avversari: scelte estreme certo, facili nei rapporti di criminalità organizzata ma anche in certi ambianti politici. Le tue possibilità di dominio diventano così più sicure, specialmente se la realtà è vista piena di nemici che tu devi debellare per difenderti. Strategia più che nota da tempo, o da sempre, come la storia ci insegna.
Questo atteggiamento paranoico non è diffuso solo in campo politico, ma in tutte le attività di relazione umane, come nell’economia o nelle varie professioni, insomma nella vita e talvolta si arriva a dare ad esso una giustificazione religiosa. L’umanità ha sofferto sempre per le deportazioni di interi popoli, per le masse dei profughi, per i fuggiaschi politici obbligati ad un vivere infelice e doloroso.
In generale questa è la sofferenza che arriva dagli eventi esterni, ma abbiamo anche quella che origina nel nostro corpo e contro la quale l’attività sanitaria è impotente. Ma noi aspiriamo alla felicità, alla serenità, al benessere, quindi la sofferenza è inutile e stupida perché ci regala il contrario.
Questi sono tutti pensieri ovvi, elementari, ripetuti e vissuti quotidianamente, ma quanto sconforto nel constatare il continuo ripetersi degli errori che inesorabilmente ci fanno piombare nella sofferenza. Certi fortunati sembrano risolvere il problema con la fede, ma la sofferenza resta. Altri cercano aiuto nel raziocinio, altri si rassegnano affrontandola con lo spirito di sacrificio, ma lei c’è.
Nell’arte, in letteratura quanti hanno parlato di questo dramma e cantato la loro sofferenza. Ma proprio non c’è vita positiva? Eppure figure che affrontano problemi e drammi senza scoramenti, in modo valido, ne possiamo incontrare.
Senz’altro è necessaria una notevole forza d’animo: sapere dedicare sé stessi al servizio dell’uomo, del prossimo donando sé stessi agli altri, cercando di alleviare la sofferenza negli altri! Anche questo è un discorso che viene da lontano, poco ascoltato purtroppo, ma è solo proiettandoci fuori di noi che si va verso il positivo del problema. È faticoso, può essere frustrante, «… ma basta poco… Una stretta di mano, una madre che ritrova il sorriso, un bambino che riprendere a giocare… E se ci sentiamo stanchi la sera, ma convinti che il giorno non sia passato inutilmente!» (Gino Strada – Pappagalli Verdi). Importante: non vivere inutilmente, ma per gli altri.
Saper vedere l’umano anche in chi ti ha fatto enormemente soffrire. Come la vedova di un noto commissario di polizia, assassinato nei terribili “anni di piombo”, che non può ovviamente cancellare il dolore, ma appunto ha saputo perdonare chi le ha ucciso il suo bene, riuscendo a vedere in loro la presenza di una carica di umanità, la sofferenza, gli spunti, le angosce che li avevano portati al dramma del gesto fatale contro la vita. E il perdono ha trasformato il vivere suo e degli assassini.
È la conversione, invocata sempre da Papa Francesco, che aiuta o addirittura può vincere la sofferenza?
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