Dall’Ucraina arrivano soprattutto foto di distruzione e di morte. Ma qualche volta si riesce a trovarne qualcuna che ha per soggetto i bambini a cui la guerra ha sottratto la normalità del quotidiano.
Ma nelle loro espressioni, quando fortunatamente non sono di dolore, possiamo leggere un barlume di speranza. Poco importa se i bambini sono stati messi in posa da un adulto. Perché la guerra c’è davvero. E suona bene che una mamma dica alla sua bambina o al suo bambino: “Mettiti lì che ti scatto una foto”.
Magari per mandarla al papà che sta al fronte; o per la nonna che fa la badante in Italia; o per i parenti più fortunati che stanno in una zona per ora lontana dalle bombe.
Prima foto
Avrora fa i compiti nel bunker. Si gira verso la mamma, con la mano e la biro appoggiate sul quaderno. Continua a essere la bambina giudiziosa che fa i compiti per la maestra, anche se la scuola non c’è più. E chissà quando ci si potrà ritornare. Una bambina che fa i compiti in un bunker, assistita dalla mamma, ci comunica che si può stare certi che fare i compiti, anche in tempo di guerra, è una cosa utile e necessaria. Perché quando le guerre finiscono, e finiscono, le scuole riaprono e bisogna farsi trovare pronti.
Seconda foto
Vediamo un bambino di undici anni con un piumino Adidas blu, un berretto New Balance nero e blu, una sciarpa celeste, lo zainetto rosso e una busta di plastica con poche cose. Non sappiamo il suo nome ma ci hanno detto che ha percorso quasi mille chilometri da solo. La mamma lo ha ben coperto, gli ha messo uno zainetto in spalla, un numero di telefono in mano, lo ha baciato e benedetto, dopo avergli spiegato come raggiungere Bratislava dove vivono alcuni parenti. Perché lì dove viveva la sua famiglia, con la mamma vedova, i fratelli e la nonna invalida, si sta troppo vicini alla centrale nucleare più grande d’Europa ed è pericoloso restarvi dopo l’avvicinamento dei russi. Viola Ardone, scrittrice e insegnante, lo ha ribattezzato per noi con il nome Adam: Adam come Adamo, il primo uomo sulla Terra. Adam che si è salvato, un po’ da solo, un po’ aiutato dalla parte buona dell’umanità. Il bambino appare bello e sereno. La foto gliel’hanno scattata i doganieri slovacchi per la gioia della mamma e nostra.
Terza foto
Ci presenta una bambina con il fucile e la caramella: un ossimoro che solo una guerra può creare. La bambina ha 9 anni. Viene messa in posa dal papà fotografo: in bocca ha un lecca-lecca e nelle mani un fucile a doppia canna. È seduta sul davanzale della finestra di un edificio devastato dalle bombe. I capelli castani sono intrecciati con un nastro che ha i colori della bandiera ucraina. Tanti si sono scandalizzati: i bambini mangiano caramelle, i bambini non imbracciano fucili! Il padre spiega di aver voluto scattare una foto shock per raccontare l’aggressione russa con una sola immagine. Che altro serve per dichiarare che la guerra è il male assoluto, che opprime l’infanzia e costringe i minori a scontrarsi troppo presto con l’esistenza dell’orrore?
Queste tre foto sono una piccola testimonianza dell’infanzia negata in un paese che sta scontando un’invasione sanguinosa.
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