Papa Francesco, imprevedibile, forse andrà a Kiev accettando l’invito del presidente ucraino Zelensky. Il segretario di Stato Parolin non lo esclude e il mondo probabilmente apprezzerebbe il gesto. Finora Francesco, senza nominare esplicitamente Putin, continua a ripetere che “rispettare la vita indifesa viene prima di qualsiasi strategia” e il simbolico viaggio non sconfesserebbe la linea: contribuire a negoziare la pace, anche a nome di Benedetto XVI. Sarebbe l’ospite più atteso a Kiev, giura Zelensky. A patto che il presidente smetta d’invocare l’intervento militare della Nato: per il papa la Chiesa non deve usare la lingua della politica, meno che meno della guerra.
“Gott mit uns” era inciso sulla fibbia dei cinturoni dei soldati di Hitler e il richiamo “Dio è con noi” è spesso comparso sulle labbra sbagliate, trasformato in grido di guerra. Qualcosa del genere fa oggi Vladimir Putin per giustificare la carneficina in Ucraina. “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici” proclama dal palco dello stadio Lužniki a Mosca citando il Vangelo di Giovanni davanti alla folla osannante, come dopo un gol della Nazionale di calcio russa. Ma lui la vita agli amici – i fratelli ucraini – la toglie con le bombe. Soldati, uomini, donne, ammalati, vecchi e bambini senza distinzione. Usando la Bibbia per giustificare l’odio.
La storia è piena di guerre sante, di tentativi di accaparrarsi il potente alleato divino per battere i nemici. L’invocazione risuonava sotto gli elmi dei crociati cristiani, alimentava lo slancio delle truppe dell’esercito prussiano lanciate all’attacco nella prima guerra mondiale e in tutti i conflitti che si richiamano a un credo religioso. Il mondo cattolico s’interroga se l’ingiustizia del nemico obblighi talvolta il saggio ad accettare le cosiddette “guerre giuste” o se abbia ragione chi accusa il papa di ambiguità, di colpevole neutralità, di pacifismo anche quando la pace non sembra possibile.
È giusto che la Chiesa prenda posizione tra belligeranti? Il patriarca ortodosso di Mosca Kirill lo fa senza problemi. Per lui la guerra giusta è quella di Putin contro l’Occidente che promuove modelli di vita omosessuali e peccaminosi, contrari alla fede cattolica. E vestendosi da analista politico si spinge a spiegare i motivi militari che hanno determinato il conflitto: all’origine di questa guerra non ci sono i popoli di Ucraina e Russia ma i rapporti tra Occidente e Mosca. Per anni – sostiene Kirill – gli Stati della Nato hanno rafforzato la presenza militare ai confini dell’ex Urss ignorando le preoccupazioni della Russia, anzi mossi dalla strategia d’indebolirla.
È questo il ruolo che le autorità religiose sono chiamate a svolgere? Sono queste le parole che l’umanità deve attendersi dai leader spirituali? Anche il primate della chiesa ortodossa ucraina Epiphany si schiera: “Il nostro comune compito – dice – è difendere la patria e respingere il nemico tiranno”; e il capo della chiesa greco-cattolica Shevchuk proclama che “le vittorie dell’Ucraina sono le vittorie di Dio sulla bassezza del nemico”. Enzo Bianchi, il fondatore della comunità monastica di Bose, è costretto ad ammettere che “si è sacralizzata la guerra e la religione è invocata come giustificazione del conflitto”. Con il risultato di avere una Chiesa cristiana contro l’altra.
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