Negli ultimi ottanta anni, mai come in questi giorni abbiamo così freneticamente parlato di confini. C’è un confine non geo-politico che divide il vecchio continente: a oriente il cristianesimo ortodosso e ad occidente il cristianesimo cattolico. Si tratta non soltanto di contrapposizione di due centri religiosi, di mere discordie teologiche, ma di diversità di tradizioni culturali che sono complementari tra loro, avendo una sorgente comune: la fede in Cristo.
Sappiamo che nel 1054 si sancì lo scisma ufficiale tra la chiesa cattolica d’occidente e quella d’oriente, che si dichiarò “ortodossa” e a capo della quale fu nominato il patriarca di Costantinopoli. Attraverso vicissitudini storiche, formazione di nuovi stati-nazioni, il mutamento delle condizioni politiche, alcune chiese ortodosse si staccarono dal patriarca di Costantinopoli e divennero “autocefale”, riconoscendo come patriarca quello di Mosca, che attualmente è Kirill.
Dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica rinunciò ad essere parte del sistema di potere, mentre la chiesa ortodossa di Mosca, che fa capo al patriarca di Mosca Kirill ha assunto una “spiritualità” disincarnata che equipara il mondo al male e si crogiola in maniera quasi morbosa in una tristezza apocalittica. Con Putin, poi, ha difeso l’avvento dell’uso politico della religione come opportunità feconda per guadagnare consensi e fare proselitismo.
Lungo la storia si attuarono sforzi per giungere ad una piena comunione tra la chiesa ortodossa e quella cattolica. Tra Roma e Mosca sono intercorsi ultimamente molteplici tentativi di dialogo e atti di reciproca cortesia, che sono culminati nel 2016 con l’incontro di Kirill con Papa Francesco a l’Avana, tappa di un suo viaggio apostolico.
L’Ucraina ha sempre avuto una forte presenza di ortodossi fedeli a Costantinopoli ed una chiesa cattolica di rito greco-ortodosso. Nel 1945, Stalin incorporò la chiesa ortodossa ucraina di Kiev in quella di Mosca, perseguitando altresì i cattolici di rito greco-ortodosso, il cui metropolita di Leopoli Slypi fu internato per diciotto anni in un gulag in Siberia.
Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1990) in Ucraina convivevano la chiesa ortodossa russa, la chiesa ortodossa ucraina fedele al patriarca di Kiev, una chiesa “autocefala” ortodossa ucraina (dal 1992) e la chiesa ucraina di rito greco-cattolica fedele a Roma. Dopo l’incontro di Gorbaciov con Giovanni Paolo II (1990), la chiesa cattolica fu legalizzata.
Nel 2018, gli ortodossi ucraini, fino ad allora ritenuti scismatici, furono accolti nella comunione con Costantinopoli. L’evento fu salutato con gioia anche dal presidente Poroshenko che vide in questa chiesa autonoma da Mosca «una Chiesa senza Putin, e la Chiesa ortodossa ucraina una Chiesa con Dio e con l’Ucraina». Kirill reagì violentemente rompendo la comunione eucaristica con Costantinopoli.
In questo contesto la guerra scatenata da Putin ha sortito uno scalpore inatteso. I tre metropoliti della chiesa ucraina hanno subito condannato l’aggressore Putin, come pure hanno fatto diverse chiese ortodosse ucraine della diaspora, circa trecento preti e monaci della chiesa ortodossa russa e il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra.
Il patriarca Kirill ha risposto a questi appelli contro «la situazione complicata creatasi ai confini con l’Ucraina» solo la sera del 24 febbraio dichiarando legittimo l’attacco delle truppe russe e il 6 marzo ha tuonato contro il Male introdotto dall’Occidente. La guerra in corso – ha detto il patriarca – «è una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico» lasciando sbigottiti molti commentatori e allontanando dalla chiesa ortodossa russa i fedeli ucraini.
L’impegno compiuto da papa Francesco per iniziare un dialogo con la chiesa di Mosca è svanito. I numerosi sforzi diplomatici compiuti dalla Santa Sede per fermare la guerra non hanno finora raggiunto alcun risultato.
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