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Cultura

MODERNITÀ DI ROUSSEAU

ROMOLO VITELLI - 12/05/2012

La città di Ginevra si appresta a celebrare solennemente il terzo centenario della nascita del suo illustre cittadino Jean-Jacques Rousseau (28 giugno 1712), il grande pensatore del secolo dei Lumi, autore di capolavori filosofici come il “Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini”, il “Contratto sociale” l’Emilio. L’opera di Rousseau sarà ricordata in Svizzera, in Francia, negli Stati Uniti, in Germania, in Gran Bretagna e in Italia, ma anche a Istanbul e a Tokyo.

Jean-Jacques Rousseau (un pensatore decisivo per le origini della sinistra: vide le alienazioni della società di massa, anticipò il romanticismo e inventò la sovranità popolare) a distanza di tre secoli continua ad apparire una figura per più versi enigmatica e controversa, oggetto di vivacissime discussioni.

A noi, nell’economia di questa riflessione, interessa però mettere in rilievo brevemente l’apporto che Rousseau ha dato, come rigoroso studioso dei fondamenti della convivenza sociale, alla scienza politica e come pedagogista ai problemi della formazione dell’uomo.

La riflessione rousseauiana ha preso avvio dall’origine della disuguaglianza causata dall’oppressione politica, dal sistema repressivo delle convenzioni sociali e dalla rigidità della cultura. A questo sistema Rousseau oppone il mondo del sentimento e della natura e l’ideale di un felice e libero stato di natura. Questo lo porta a riflettere sopra i fondamenti di una giusta società e, insieme, sopra il modello di uomo adatto per essa. Il Contratto sociale e l’Emilio sono il frutto di questa riflessione.

 Il Contratto sociale, com’è noto, riguarda la “formazione del cittadino”, ed è una presa di posizione critica nei confronti della società, mentre l’Emilio, che tratta la “formazione dell’uomo, è un’opera molto importante dal punto di vista pedagogico-educativo, che contiene tra l’altro una psicologia, un’antropologia e una nuova meditazione sociale.

Secondo Rousseau una società migliore aiuterà l’uomo a realizzare la sua potenziale bontà. L’uomo è naturalmente buono, ma risulta corrotto dalle istituzioni sociali da qui la necessità di un ritorno alla natura. Ma ciò non può significare, che l’educazione dei fanciulli debba avvenire fuori dalla società, completamente isolata e fine a sé stessa.

Al contrario, l’autore dell’Emilio sa bene che il suo allievo ideale dovrà essere, un giorno, un cittadino, membro di una comunità sociale, ma questo però non porta Rousseau a perseguire un obiettivo esclusivamente di carattere sociale. Prima che all’ istruzione di un fanciullo e alla preparazione di un adulto (o, appunto, di un cittadino), Rousseau punta, con la massima consapevolezza, alla formazione di un uomo, giacché Emilio “membro della società – dice il filosofo Ludovico Geymonat – deve compierne i doveri, e nemmeno può significare entrare nella società senza educazione alcuna, perché questo significherebbe lasciarsi sommergere e soffocare dai pregiudizi. dalla violenza e dall’ipocrisia, da tutto quanto di peggiore la società stessa ha prodotto”.

Per Rousseau: “Tutto dipende radicalmente dalla politica”. Egli sostiene che l’uomo cattivo è un uomo mal governato, e che la via della possibile liberazione passa attraverso la politica, essendo quest’ultima l’unica psico-terapia in grado di arginare l’infelicità umana.

Rousseau si rende conto che se si vuole rigenerare l’essere umano corrotto dalla società del tempo bisogna creare una società libera ed egualitaria; ma per realizzare questo obiettivo occorre una rivoluzione radicale in ambito socio-politico che però implica necessariamente una correlativa rigenerazione in ambito psicologico ed antropologico. “La natura – afferma – vuole che i fanciulli siano fanciulli prima di essere uomini. L’infanzia ha certi modi di vedere, di sentire del tutto speciali; niente è più sciocco che volere sostituire ad essi i nostri. Ogni età, ogni stato di vita ha la sua perfezione conveniente, la specie di maturità sua propria. Abbiamo sentito spesso parlare d’un uomo fatto: consideriamo ora un bambino fatto”.

Quindi il bambino non è un adulto in miniatura. Egli va consideralo come un essere autonomo, da ascoltare e trattare secondo modalità congruenti con le sue caratteristiche. Conseguentemente non vi può essere un unico approccio pedagogico-didattico, che sia valido per tutte le fasi evolutive del giovane. Ma ciò presuppone che l’educatore abbia una profonda conoscenza della psicologia dell’età evolutiva dell’allievo.

“Con questa posizione – dice ancora Geymonat – Rousseau critica la pedagogia tradizionale e anticipa un motivo particolarmente caro in pedagogia e alla psicologia dei nostri giorni, la tesi (per la verità già presente in autori quali Comerio, Fénelon e Vico) secondo la quale fra l’adolescente e l’adulto non c’è tanto differenza in grado, per cui il fanciullo possa essere considerato un uomo imperfetto, quanto differenza qualitativa. Una volta ammesso che il fanciullo è un essere autonomo che si sviluppa naturalmente passando attraverso alcuni stadi che si succedono in ordine costante, ci appariranno assai meno paradossali le affermazioni contenute nell’Emilio”. Eancora: “Per insegnare il latino a Giovannino bisogna conoscere prima Giovannino;” “Con i bambini bisogna cercare non di guadagnare tempo, ma di perderne,” in quanto ‘ogni dilazione è un vantaggio’”.

“Accelerare il ritmo del processo educativo – continua Ludovico Geymonat – (per correre dietro al programma scolastico da rispettare, diremmo oggi; ndr) vuole dire, infatti, proporre all’educando cose, fatti, esperienze per le quali egli non è ancora maturo, col risultato di accumulare nella sua mente nozioni non intese o, quel ch’è peggio, intese erroneamente e col far assumere al fanciullo atteggiamenti esteriori non corrispondenti all’autentico momento evolutivo della sua struttura psicofisica”. Un’impostazione politico-pedagogica corretta dovrà essere finalizzata a ridare misura umana a società e cultura, evitando che istituzioni civili impediscano o distorcano lo sviluppo dell’uomo, ma aiutandolo invece a realizzare la sua più profonda libertà.

 In sostanza, dice Rousseau, che ha un altissimo concetto della dignità umana: “Vivere è il mestiere che gli voglio insegnare. Uscendo dalle mie mani, egli Emilio non sarà, ne convengo, né magistrato, né soldato, né prete; sarà prima di tutto uomo: tutto quello che un uomo deve essere, egli saprà esserlo, all’occorrenza, al pari di chiunque – e per quanto la fortuna possa fargli cambiare condizione, egli si troverà sempre nella sua”.

Sorge a questo punto un quesito: di che utilità può essere per la nostra società e la nostra scuola la concezione pedagogico-politica rousseauiana contenuta nel Contratto e nell’Emilio ? Bene, se “il fine generale delle scuole di ogni ordine e grado – come dicono i Programmi Brocca – è la formazione dell’uomo e del cittadino”.

Penso che la riflessione di Rousseau, proprio per i caratteri di modernità ed attualità che abbiamo sottolineato sinora, possa portare un significativo contributo alla rigenerazione di un uomo e di un cittadino capace di vivere – anzi, di con-vivere in questo nostro Terzo Millennio, secondo i dettami della giustizia e della ragione.

E la società italiana, afflitta e prostrata da una grave crisi politica, economica, sociale, culturale e morale, ha un bisogno estremo di uomini e cittadini liberi, tolleranti, inclusivi, autonomi e critici culturalmente ed eticamente responsabili, in grado di lottare contro il tipo di fruizione acritica e passiva indotta dai vecchi e nuovi media, che ci bombardano con un flusso continuo di immagini.

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