Non è facile scrivere in questo momento. Non è facile autorizzarsi a rompere il silenzio quando attorno dilaga il rimbombo sordo della guerra, quando la ragione prende a cazzotti e atterra a pugni e calci il buon senso, quando la crudeltà è una bocca mai sazia di odio che sbrana la carne e strappa il cuore degli innocenti a morsi. La voglia, meglio il dovere di capire e vedere ti costringe però a guardare, a informarti, a cercare nella scatola che sta in salotto davanti al divano, o nello schermo del computer, le immagini e i servizi che informatori coraggiosi mettono assieme, città per città. Da Kiev, la capitale dell’Ucraina, alle altre città investite dalla guerra sferrata dalla Russia. Un’invasione a fine di genocidio.
Vanno a pezzi condomini residenziali della capitale, sventrati nel cuore di appartamenti domestici, dove era la vita di intere famiglie. Ma anche ospedali, persino reparti dedicati alle leucemie infantili, e scuole di giovanissimi studenti che vedono incenerire in quelle stanze la speranza. E con loro vanno in pezzi tutte le altre città bersagliate, sventrate nel loro grembo accogliente. Tutto è stato rotto e negato assieme alla pace. Gli ucraini capitanati da Zelenski sono volitivi, determinati, eroici per coraggio e voglia di libertà. Muoiono in molti, come i giovani russi dei carri armati con cui si raffrontano. Ma non si piegano. E nella capitale si sta cercando di resistere agli assalti che proseguono sempre più pesanti, nonostante si continuino le trattative e i signori di Paesi diversi sembrino volerci mettere la faccia.
Un’immagine del reporter ucraino Evgenij Maloletka è per ora esemplare, tragicamente riassuntiva di quanto sta avvenendo. Dall’ospedale bombardato di Mariupol, mercoledì 9 marzo, una giovane madre è portata fuori su di una barella. Ha il pancione, come diciamo noi donne, e sembra essere ormai a termine. Ma il corpo in parte scoperto, svelato al mondo senza alcun riparo a quell’intimità rubata, evidenzia una gamba gravemente colpita dall’esplosione. Pallida e ferita, la donna si tocca il ventre. Una carezza leggera, di protezione, e di addio, lo sfiora. L’immagine dello scempio di questa guerra è tutta racchiusa in quella carezza di madre. Sente la vita che se ne va e sollecita la sua creatura a resistere. Diranno poi i medici che hanno praticato il cesareo: nonostante i disperati tentativi, sono morti tutti e due insieme. Prima il bambino, e poi la mamma. Due creature innocenti che hanno ‘scelto’ il momento sbagliato per essere lì. È l’immagine più drammatica che mai si potrà vedere.
Perché è quella di una vita spenta già prima di venire alla luce. Di una mamma gravemente ferita che non ha visto il volto della sua creatura, che non l’ha potuta stringere tra le braccia. E di un bambino che non ha odorato il profumo della pelle di sua madre, che non ha mai avuto la sua prima goccia di latte.
Sarà questa la colpa maggiore, e il rimorso, di chi ha deciso per tutti che un progetto di dominio può essere più importante di un progetto di vita carezzato da due giovani sposi? Chissà se il Signore degli Anelli vedrà mai questa immagine, e quella carezza? E se vedrà, passerà oltre o si farà qualche domanda? E potrà dimenticare? E potrà non sentirsi complice di quel gioco al massacro non autorizzato che non sappiamo ancora dove porterà il mondo?
Mentre scrivo mi arriva un video, da un amico, tratto da Facebook: si tratta di un’intervista del 26 aprile 2011 in cui si demonizzano la guerra e le conseguenze sulla popolazione civile causate dall’ uccisione da parte americana di Gheddafi. A parlare è un ancor giovane Presidente russo, di nome Vladimir: chi si è preso il diritto di uccidere Gheddafi, di distruggere le infrastrutture di uno stato e insieme i civili pacifici? domanda ai giornalisti. Ci voleva una indicazione internazionale, spiega. Non capisco tutto questo, si risponde.
Anche noi oggi non capiamo lui. Non comprendiamo la distruzione di un Paese, la morte e l’esodo di tanti civili pacifici, la mancanza di attenzione per il diritto di altri Paesi che invitano insieme alla Pace.
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