L’architetto e urbanista Angelo del Corso, presidente di Varese 2.0, membro della Commissione urbanistica comunale, interviene, con l‘intervista che segue, nel dibattito aperto sul numero scorso di RMFonline da Costante Portatadino. Tema: il nuovo Piano di gestione del territorio di Varese in fase di elaborazione.
Perché il Pgt di Varese varato sette/otto anni fa va rivisto?
Il PGT varesino vigente fu approvato il 12 giugno 2014 dopo una gestazione quasi decennale. Gli autori del piano indicarono chiaramente nell’incremento mercantile (soprattutto commerciale) le direttrici e le polarità, adattando di conseguenza servizi e infrastrutture.
L’assetto economico, sociale e culturale nazionale e internazionale ha subìto nell’ultimo decennio mutazioni preoccupanti, forse prevedibili, che obbligano le pubbliche amministrazioni a doverose riflessioni. Gli obiettivi per lo sviluppo dovevano pertanto essere rivisti ormai da tempo evitando l’attuazione di programmi, per lo più d’iniziativa privata, destinati nel breve periodo all’incremento del degrado. La “macchina” urbana varesina mostra l’esaurimento della forza propulsiva di un tempo e deve individuare nelle risorse, storicamente presenti dell’ambiente e del paesaggio, gli ingredienti capaci di riattivare i nuclei nevralgici dei propri borghi.
Quali sono le potenzialità che il nuovo Pgt dovrebbe evidenziare e sviluppare?
Varese è una città policentrica, composta di castellanze e di rioni, e come tale va trattato il progetto di sviluppo. Il consumo di suolo pari a zero è una nozione ormai assodata e recepita dagli amministratori lombardi ad ogni livello di responsabilità. La Regione Lombardia ha introdotto, con la legge n. 31 del 28 novembre 2014, nel Governo del Territorio nuove disposizioni per la limitazione del consumo di suolo e per favorire la rigenerazione delle aree urbane degradate. Questo dato condiviso non dovrebbe comunque aprire la strada all’incremento verticale degli edifici, accettabile invece nelle città monocentriche quando si prevede un incremento della domanda abitativa. Il tessuto connettivo del nostro territorio è costituito dalle aree verdi che coronano i nuclei storici ed è caratterizzato da ville e villini che determinano una invariante tipologica e il “contesto” identitario di Varese. L’ipotesi dell’aera vasta” varesina, ormai da anni nel pensiero di molti, è avvalorata dalle vocazioni territoriali, dalla omogeneità orografica, dalle consolidate relazioni popolari. Una efficace proposta pianificatoria di sviluppo non potrà essere costretta dai limiti amministrativi comunali perché, di fatto, non più aderenti alla realtà.
Le aree di trasformazione del territorio sono un’occasione o una minaccia per il futuro della città giardino?
Le ventitré Aree di Trasformazione individuate nel vigente PGT rappresentano le parti del territorio comunale che hanno dismesso le attività produttive originarie e il loro crescente degrado disconnette porzioni di città dal sistema urbano, oltre che incrementare l’ammaloramento del tessuto adiacente sia sociale sia edilizio. L’interesse pubblico di queste aree è ben rilevato dalle norme di attuazione che le descrivono come zone “aventi carattere di rilevanza urbana e territoriale tali da incidere sulla riorganizzazione degli spazi pubblici o di uso pubblico”. La normativa regionale enuncia chiaramente il percorso che deve essere compiuto per la rigenerazione urbana e indica le Amministrazioni Comunali fra gli attori “non neutrali” nei programmi integrati in aree di trasformazione che dovranno garantire la rivitalizzazione, la riappropriazione e la ridefinizione identitaria dell’area con le necessarie implicazioni di carattere sociale, culturale, economico, di attrattività e di opportunità di sviluppo. La riqualificazione e la conseguente riconnessione di questi luoghi inattivi dovrà essere risolta con destinazioni d’uso aggreganti, magari con spazi di coworking, di servizi di quartiere, uniti a presidi con vocazione marcatamente socioculturale. Purtroppo si rileva dalle schede di Piano che, la maggior parte di queste aree, prevedono la realizzazione di strutture di vendita fino a 2500 metri quadrati che andrebbero a incrementare la già numerosa presenza in città di questi centri. Pur considerando un’utenza sovracomunale, la presenza di oltre trenta esercizi dedicati alla grande distribuzione porterà inevitabilmente alla chiusura per molti fra questi e il conseguente abbandono degli edifici, riproponendo il degrado ambientale che si prevedeva di eliminare.
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