Ogni fenomeno naturale appare complesso nella sua relazione con le molteplici variabili presenti nell’ambiente. Misurare e descrivere queste relazioni è compito della scienza. Prevedere come un determinato fenomeno si svilupperà la prossima volta che lo incontreremo ha necessitato lo sviluppo di strumenti matematici come la statistica. In medicina questa permette di valutare quale sia l’evoluzione più probabile di una patologia nel caso del singolo paziente, i rischi e i benefici di un intervento terapeutico. Queste valutazioni generano quindi comportamenti o percorsi decisionali che, desunti dall’osservazione di numerosi casi singoli, ordinati e costruiti su criteri di evidenza statistica, sono noti con il nome di linee guida o protocolli. Questi utilissimi e necessari strumenti della medicina contemporanea vengono insegnati nelle aule universitarie e costituiscono, man mano che la scienza li affina, materia di continuo aggiornamento per noi medici, durante l’intera vita lavorativa.
Ampliando il campo di osservazione, in modo da comprendere i molti ambiti della vita sociale, appare subito evidente come schemi, protocolli, procedure, siano parte integrante del nostro mondo, con il proposito di garantire il più possibile a tutti valori come la parità e l’equa distribuzione delle risorse. Mi pare di osservare però come sempre più spesso questi strumenti assumano connotati riduttivi della loro funzione; dalla loro applicazione infatti, il cosiddetto operatore (che sia medico, impiegato, funzionario di un istituto pubblico o altro), tende, in modo più o meno consapevole, a trovare rifugio o difesa di fronte ad eventuali problemi o complicazioni sorti da un proprio atto o decisione.
Di fronte a questa, comunque fragile, garanzia, il soggetto appare subordinarsi al sistema a cui appartiene in modo che l’eccellenza del risultato sia consegnata all’organizzazione del servizio più che al gesto libero e competente del singolo. Questa osservazione, per chi la voglia condividere, porta ad almeno due considerazioni: la prima è che protocolli, linee guida e procedure sono la sintesi efficace di un complesso di osservazioni e studi che costituisce il patrimonio di conoscenza (l’ossatura fondamentale) il cui approfondimento è un passo imprescindibile per un loro corretto utilizzo. È un fatto culturale quindi: un problema e la sua soluzione devono essere studiati a fondo (prendendosi tutto il tempo necessario, certo, anche in quest’epoca tiranna dove le giornate, si dice, non bastano mai) e non affrontati in superficie, consultando e “assaggiando” rapidamente e un po’ dovunque; oppure relegandosi al ruolo di abili esecutori rinunciando ad essere “cultori della materia”.
Impadronirsi in questo modo di un problema porta alla seconda considerazione: nessuno può vivere al posto di un altro, ad ognuno è stato dato il compito di vivere questo tempo e questi luoghi. Occorre quindi onorare questa singolarità recuperando il senso del soggetto che opera, sentendo come bene prezioso la prova della responsabilità personale, in ogni gesto, pronti anche a pagare di persona, ma certi soprattutto che in questo modo quello che facciamo sarà riconoscibile nel mondo, originale nel suo significato essenziale di portare un contributo che non potrebbe esistere se non traesse origine da quello che siamo, consapevolmente, ogni giorno.
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