Francesco nella sua Enciclica aveva sei anni addietro avvertito come fossimo di fronte a tre minacce intrecciate ed incombenti: la crisi climatica, la guerra mondiale a pezzi con sullo sfondo la catastrofe nucleare e una crescente ingiustizia sociale che accompagna la globalizzazione. La mancanza di tempo suggeriva di abbandonare ogni idea di potenza centrata sul genere umano e di riversare ogni cura possibile verso il vivente tutto e la natura.
I nodi stanno venendo sciaguratamente al pettine. I mutamenti climatici sono irreversibilmente bruschi, la pandemia ha reso ancora più stridenti le disuguaglianze ed ora la guerra in tutta la sua ferocia ci insegue con notizie terrificanti. Dobbiamo pensare, agire, muoverci socialmente e politicamente in un quadro che non separi mai le tre opprimenti emergenze.
L’escalation bellica in Ucraina ha subito una accelerazione drammatica dopo l’invasione di Putin che scuote profondamente la pace in Europa, rendendo irreversibile la contrapposizione di blocchi contrapposti, mentre non si può dimenticare che la pandemia aggredisce tuttora gran parte del pianeta.
Questa situazione rischia di mettere in ombra la questione climatica, che finalmente e faticosamente è diventata centrale e da cui dipende il futuro dell’umanità. Le anomalie climatiche si moltiplicano e si aggravano: dall’estrema siccità allo scioglimento accelerato del permafrost in Siberia, alla mancanza d’acqua, questioni che vengono rimosse sotto la pressione della guerra.
La risposta all’impazzimento dei prezzi dei combustibili fossili e alle carenze di rifornimenti non può che avere la risposta dell’accelerazione della strategia indispensabile per mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi.
L’uso dei combustibili fossili è ancora in campo come fattore di potenza e di dominio del mondo. L’Europa non deve cedere a questa deriva, neppure in presenza della guerra in Ucraina e della sciagurata condotta di Putin.
L’unica risposta alla guerra è riaprire il dialogo e non l’estensione della Nato, senza comprendere che occorre anzitutto fornire condizioni di sicurezza a tutti, all’Ucraina come alla Russia. Occorre cercare la comprensione tra tutti paesi e abolire la guerra come mezzo di regolazione delle contese.
Insistendo sull’uso dei fossili l’Europa pagherebbe un prezzo altissimo di dipendenza dall’estero, con sottrazione di risorse, con il blocco dello sviluppo, con la caduta dell’occupazione. Per raggiungere l’autonomia in Italia e in Europa e quindi ridurre i costi occorre produrre energia con investimenti massicci nelle energie rinnovabili, nell’idrogeno verde, nel risparmio energetico.
Nelle posizioni del Governo ci sono evidenti ambiguità. Puntare su misure transitorie come maggiori estrazioni nazionali di gas e nuovi rigassificatori (occorrono alcuni anni) e insistere sull’uso del carbone significa adottare misure tampone e scelte che contrastano con gli impegni adombrati in precedenza su indicazione del Fit 55% europeo.
Oggi disponiamo di tecnologie che possono portarci fuori da questa crisi. La guerra può indurre misure di arretramento e conservazione del modello economico precedente o invece essere l’occasione per fare subito scelte coraggiose e innovative per l’ambiente, riducendo i consumi e approntando da qui ai prossimi 3 anni 60 GW di rinnovabili, come suggerisce finanche l’A.D. Starace di ENEL, che farebbero risparmiare all’Italia 18 miliardi di metri cubi di gas. Se avessimo continuato a investire in impianti di energie rinnovabili come nel triennio 2010/13, avremmo consolidato i posti di lavoro creati nel triennio ed oggi, dopo 8 anni, avremmo ridotto il consumo di metano di 18 miliardi di m3, pari al 66 % del gas importato dalla Russia.
Governo e parlamento debbono decidere subito un nuovo programma di politiche energetiche accelerando al massimo gli investimenti nelle energie rinnovabili e nell’idrogeno, concentrando gli investimenti del PNRR anzitutto su questo obiettivo.
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