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Economia

SOCIAL BUSINESS

LIVIO GHIRINGHELLI - 12/05/2012

Muhammad Yunus

I modelli capitalistici di business si basano sull’egoismo degli esseri umani. È il caso invece di proporre un social business in chiave d’altruismo, di bene comune, sì che oltre gli interessi personali si perseguano quelli degli altri. Il tendere a un unico scopo di lucro crea solo squilibri. E la responsabilità sociale non può gravare solo sul settore pubblico, sul governo. Bisogna parimenti prendere atto che nessuno manca in assoluto di capacità imprenditoriali; si tratta di fare delle scelte tra il cercare e il dare lavoro, procedendo da un sistema di istruzione che favorisca la creatività, l’iniziativa, la collaborazione (nel nostro orizzonte cooperativo), in un sistema di microcredito diffuso. È insieme un gratificare il singolo, il gruppo, un personalizzare il lavoro lungi da ogni forma di alienazione, superando le tante forme della filantropia tradizionale. Significa ridare indipendenza sia dal punto di vista economico, sia psicologico, restituire dignità alla persona e al lavoro.

Educazione, assistenza sanitaria e microcredito sono misure necessarie da adottare non solo nell’ambito delle nazioni sottosviluppate, ovviando ai flagelli della povertà e della fame. Illuminanti sono le iniziative promosse a partire dal 1970 in India da Yunus, docente all’Università di Chittagong nel Bangladesh. Si trattava di liberare i produttori dall’usura, onde la Grameen Bank (o del villaggio). Nel 2006 l’assegnazione del Premio Nobel per la pace. Del gennaio 2008 l’estensione della rete agli stessi Stati Uniti. E i successi in un tempo di depressione come il nostro risultano non trascurabili, specie in termini di necessità e crisi locali. Aspetto curioso della vicenda: il novantasette per cento delle persone positivamente coinvolte sono risultate donne.

Il lavoro non è una semplice merce o un elemento impersonale; è un diritto fondamentale e universale, perché qualifica la persona e ne è qualificato in termini di inalienabile dignità. Lavorando si imita Dio, si partecipa alla sua creazione glorificandolo. Giovanni XXIII (Mater et Magistra 106) affermava: “Si nutre maggior fiducia nei redditi che hanno come fonte il lavoro, che nei redditi che hanno come fonte il capitale, nei diritti fondati sul lavoro, che nei redditi fondati sul capitale”. Paolo VI ha proposto il modello del Cristo carpentiere. Per Giovanni Paolo II è evidente il primato del lavoro sul capitale. Per Benedetto XVI il mercato non deve essere l’unico principio di organizzazione del lavoro e non deve diventare (Caritas in veritate 36) per sé il luogo della sopraffazione del forte sul debole. Nell’Enciclica Centesimus annus era paventata la minaccia della disoccupazione (senza giusto salario né sicurezza). A suo tempo poi il cardinale Lercaro, protagonista del Concilio Vaticano II, parlava della Chiesa non solo come madre dei poveri, ma di poveri. Questo di fronte alla marea sempre più incalzante del consumismo, che più che medicina è da considerarsi una malattia indotta dalla logica del profitto senza controlli.

Oggi le esigenze di adattamento e di flessibilità che colpiscono i lavoratori sono fonte continua di stress e di precarietà, si assiste al fenomeno degli interinali che non possono trovare un senso al lavoro, dei precari sballottati tra contratti a tempo determinato, degli occupati a tempo molto parziale. La disoccupazione tocca ormai livelli a due cifre e devastante è quella generale tra i giovani. Lo Stato non sa al momento promuovere politiche attive del lavoro, l’economia si dissocia sempre più dall’etica, non si ha consapevolezza del fatto che il benessere economico non consiste esclusivamente nella quantità dei beni prodotti, mentre va tenuto conto del modo e del grado di equità nella distribuzione del reddito.

L’equità è una condizione della crescita. Bisogna investire su dei costruttori di futuro e quindi essenzialmente sulla famiglia (che rappresenta una priorità rispetto alla società) in una democrazia partecipativa. Lo sviluppo ha senso se è autenticamente globale e solidale.

Alla dottrina sociale della Chiesa, al Magistero sta di porsi a livello dei riferimenti antropologici e teologici. ai sacerdoti di base di ritrovare un ruolo missionario, inviati in terra operaia, ai laici di assumere le proprie responsabilità nell’individuare misure concrete per uscire dalla crisi.

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