La guerra è una grande sconfitta dell’umanità: le conseguenze economiche non possono che passare in secondo piano, ma costituiscono un prezzo da pagare per tutti. In primo piano ci sono i bombardamenti, il massacro delle persone, le distruzioni nelle città. E poi ci sono gli effetti esterni soprattutto economici che coinvolgono tutta Europa. Parliamo dell’aumento dei prezzi, della scarsità di materie prime, del blocco di parte del commercio mondiale, della caduta delle Borse valori, della riduzione dei flussi finanziari: tutti elementi che comporteranno significativi adattamenti nelle politiche economiche e cambiamenti rilevanti rispetto al tanto atteso ritorno alla normalità, quella normalità che si sperava potesse arrivare con il progressivo superamento della pandemia.
Di fronte alla drammatica violazione del diritto internazionale i paesi occidentali, con gli europei in prima fila, hanno giustamente rivendicato non solo il diritto, ma il dovere di intervenire. La via intrapresa, quella delle sanzioni economiche è apparsa subito una via obbligata, ma nello stesso tempo densa di rischi e di controindicazioni.
Per una ragione molto semplice. Il blocco dell’export europeo verso la Russia non può che avere conseguenze limitate, dato che sono interessati beni e servizi non di primaria necessità, mentre al contrario un, per ora eventuale, blocco dell’export russo, che riguarderebbe soprattutto gas, petrolio e materie prime, avrebbe conseguenze disastrose per le economie europee.
Le reazioni a catena infatti sarebbero difficilmente controllabili. Il problema dei costi è rilevante, ma ancora più importante è quello delle quantità. Senza il gas russo l’Italia dovrebbe ridurre di almeno il 30% i propri consumi tagliando il riscaldamento nelle abitazioni e riducendo la produzione di energia elettrica con effetti che sarebbero difficilmente gestibili e con conseguenze devastanti sull’attività industriale.
Putin non a caso si è mosso con spregiudicatezza ben conoscendo la fragilità dei sistemi industriali ed energetici europei, una fragilità che per l’Italia è ancora maggiore di quella degli altri paesi.
Ma come possono rispondere le politiche economiche a questa nuova emergenza? Ci sono almeno due piani di intervento oltre a quelli, importantissimi, politici ed umanitari.
Il primo è una strategia energetica che riduca progressivamente la dipendenza dalle fonti fossili, fonti che l’Europa acquista in misura rilevante proprio dalla Russia e che costituiscono peraltro uno dei fattori maggiormente responsabili del cambiamento climatico. Non sarà un processo né facile né breve, quello di diversificare le fonti e sostenere vigorosamente le energie rinnovabili. Ma è un cammino altrettanto indispensabile quanto urgente.
Il secondo è quello della rivoluzione digitale, una rivoluzione già iniziata in molti settori con in prima fila quello bancario. Il digitale garantisce grandi opportunità nel risparmio dei tempi, nella sicurezza delle operazioni, nell’ampliamento delle opportunità. Nella stessa politica energetica le nuove tecnologie possono portare a una potenziale riduzione degli sprechi e una maggiore efficienza di impianti di produzione e trasporto. In molti campi, una più veloce evoluzione digitale offrirebbe più ampie opportunità per lo sviluppo delle competenze nei nuovi e più moderni settori dell’economia.
L’Italia ha fatto parecchi passi avanti in questa prospettiva. L’identità digitale è ormai largamente condivisa, ma ci sono ancora molte diffidenze e pregiudizi per una trasformazione su vasta scala. Il cammino per realizzare in ogni paese quella che viene chiamata la sovranità digitale, cioè la capacità di sfruttare in ogni ambito le più moderne tecnologie con sicurezza e garanzie per la privacy, continua ad avere molti ostacoli.
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