Ho perduto le parole. Mi si afflosciano nel pensiero prima ancora di essere espresse, di diventare segni sullo schermo. Che senso e che utilità avrebbero le mie riflessioni sull’invasione russa dell’Ucraina, sulla minaccia di una guerra nucleare nel cuore dell’Europa?
Della situazione geopolitica non potrei dire niente di significativo: già autorevoli commentatori lo stanno facendo dagli schermi TV e sui giornali.
Le considerazioni storiche mi sembrano sterili: la sensazione di essere ritornati a prima della Seconda Guerra Mondiale ancora una volta ci suggerisce che la storia non è maestra di vita, ma questo i meno ingenui l’avevano già capito da tempo.
Potrei sostenere che l’uomo non cambierà mai e rispolverare Machiavelli, ma mi sembra un inutile teorizzare.
Potrei considerare e approfondire l’aspetto umano: la bambina nata nel rifugio sotto le bombe, la maestra italiana che le dedica una poesia; la donna russa vestita con i colori dell’Ucraina; l’ottantenne, scampata all’assedio di Leningrado, che manifesta pacificamente ed è arrestata dalla polizia; i cinque bambini, schierati in un campo brullo, che giurano di uccidere il nemico o di morire; le persone che, a braccia alzate e a mani nude, cercano di fermare l’avanzata dei carri armati e dei camion militari. No, rischierei di cadere nella retorica o di spettacolarizzare il dolore: ci riescono già molto bene alcuni dei nostri inviati.
Polemizzare con l’università Bicocca perché avrebbe voluto rinviare un corso di Paolo Nori su Dostoevskij, in attesa di individuare – per par condicio – un autore ucraino? Il fatto che un’istituzione consacrata alla cultura non si renda conto dell’assurdità della motivazione è così sconfortante da lasciare ammutoliti.
Sì, ho perduto ogni parola che abbia un senso, un valore o un’utilità. Me ne resta una soltanto: impotenza. Mai avrei pensato che i versi di Quasimodo sarebbero stati attuali nell’Europa del terzo millennio:
E come potevamo noi cantare […] Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento.
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