“Come prima non si tornerà”: era la constatazione fatta quando fummo immersi nel lockdown per difenderci dal Sars-CoV-2. Ora invece ci ripetono che tra qualche mese rivivremo la normalità di prima.
Ma una “non nuova” realtà (che botta!) ci fa intravvedere prospettive di vita drammatiche: si sentono in giro odori lugubri di guerra.
Nel “villaggio globale” la pace non esiste. In qualche angolo gente che usa le armi contro suoi simili la troviamo sempre.
Ora siamo costretti a dover rivivere questa esperienza molto vicina a noi, come furono vicine le armi che crepitarono nel territorio della ex Jugoslavia qualche anno fa. Nasce il timore che si debba ritornare a vivere come negli anni della prima metà del secolo scorso. Possibile? Dovremo anche riesumare il servizio di leva obbligatorio? Sì, dare allo Stato mesi di vita da passare lontano da casa, in modo da avere truppe da mettere in parallelo all’esercito attuale di professionisti?
Nella vicina Svizzera il servizio di leva è rimasto. Ha caratteristiche diverse rispetto alla nostra “naja”, ma è rimasto. Risultato: ragazzi di un certo livello di cultura, anche prossimi ad affrontare studi universitari oppure già professionisti, vivono esperienze dure, diverse dalla normale routine di vita civile, ed hanno contatti prudenti e sicuri con le armi.
Tutto il contrario di quello che avviene in altre regioni del suddetto villaggio, dove troppo presto ti trovi ad avere in mano il Kalashnikov, ma devi essere analfabeta o quasi (e sì, così è più facile manipolarti). In certe zone anche ai bambini vengono messe in mano armi, con conseguenti immensi problemi psicologici nell’età adolescenziale. Negli USA addirittura, come sappiamo, l’acquisto delle armi è libero.
A questo punto ritorna spontaneo richiederci: quale realtà dovremo affrontare invece noi, abituati al pio esercizio serale dell’aperitivo o dell’apericena, della “movida”, dello sballo in discoteca, del facile accesso all’alcol con pasticca? O addirittura cocaina “così sono più Macio!”?
“C’è tutto da rifare” direbbe con accento toscano l’indimenticabile Gino Bartali. D’accordo, ma come rifare? Quali i provvedimenti giusti? Le sistematiche manifestazioni dei fine settimana dei no-vax? O il duro lavorio dei volontari che si spendono per i bisognosi?
Oltre alle puzze di guerra da sempre incontriamo le puzze della furba, iniqua, spietata criminalità organizzata, che a livello internazionale è molto potente (ci guazzano misteriosi oligarchi) tanto da far sospettare che negli eventi attuali ci sia il suo zampino, anzi usiamo l’accrescitivo: “il suo zampone”.
L’Ucraina da sempre definita “il granaio …” è terra ricca: poterla controllare è strategia d’oro.
E la popolazione Ucraina che “gente è? Quali modi di pensare la caratterizzano? Qui c’erano i cosacchi.
I politici della “rivoluzione” di cent’anni fa sconvolsero le etnie di quelle pianure spostando popolazioni da altre regioni. Erano manovre ritenute economiche ed efficaci per le tecnologie agricole di allora. (Fu fatto anche in Italia in misura più modesta). Nei 1932 invece lì scoppio una grande carestia: pochissimo grano e tanti morti.
Possibile che la guerriglia, presente in certe aree dal 2014, sia stata stimolata da cause seminate già allora? E che cultura si è sviluppata in quelle regioni negli anni “brevi” del secolo scorso?
Storici, studiosi di politica internazionale, economisti come interpretano i dati che da tempo hanno per le mani: che dicono? La comunicazione che raggiunge noi, semplici cittadini, sta speculando, come al solito, sulle nostre emotività e pare essere incapace di mostrarci la vera realtà intrisa di paranoia.
Chi sta spingendo nuovamente “il popolo coglione” – come nel 1914 Trilussa definì i poveracci prossimi alle stragi della Prima guerra mondiale – verso i dolori provocati dal cannone?
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